ROMA – La decisione di entrare nel porto di Lampedusa ignorando il divieto del ministero dell’Interno e forzando il blocco navale della Guardia di Finanza è stata presa nel rispetto delle disposizioni sul “salvataggio in mare”. Lo spiega la Corte di Cassazione nelle motivazioni sul ‘no’ all’arresto di Carola Rackete, la comandante della nave della ong Sea Watch con 40 migranti a bordo accusata di aver forzato il blocco navale della motovedetta della Guardia di Finanza che le impediva l’accesso al porto dell’isola siciliana.
La decisione, spiega la Suprema Corte, è legata al fatto che “l’obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro“.
Secondo gli ermellini, inoltre, è stata anche legittimamente esclusa la natura di nave da guerra della motovedetta perché al comando non c’era un ufficiale della Marina Militare, come prescrivono le norme, ma un maresciallo delle Fiamme Gialle. Dunque Rackete ha agito in maniera “giustificata” dal rischio di pericolo per le vite dei migranti a bordo della sua nave.
Nel corso di una conferenza stampa a Chieti, in Abruzzo, anche Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno che promuoveva la politica dei porti chiusi che tentò di impedire a Rackete di entrare nel porto di Lampedusa, ha commentato la notizia: “Pare che la Cassazione, nelle motivazioni, dice che Rackete non andava arrestata, che ‘non ha commesso reato perché al comando della nave c’era un maresciallo della Finanza e non un comandante’, quindi si giustifica lo speronamento, le voglio leggere queste motivazioni. Ma quelli rischiavano di essere schiacciati come vermi, incredibile”.