La riflessione sulla questione della rideterminazione dei confini di Campora San Giovanni è dell’ex consigliere comunale e docente amanteano, Alfonso Lorelli.
«Per capire le cause di questa ventata separatista che è ritornata a soffiare su Campora San Giovanni occorre rifarsi alla storia della gente che vi abita, alla storia vera e non a quella mitica che si perde nella notte dei tempi».
In epoca moderna e fino alla prima metà del’900, «sul pianoro compreso tra l’Oliva ed il Savuto non si è formata alcuna comunità civica, sia perché gli insediamenti umani, fin dal Medioevo si formavano lontani dal mare, al riparo da scorrerie piratesche, sia perché la piana del Savuto e quella di Oliva-Marinella erano paludi infestate da zanzare dove, peraltro, il mare penetrava fino ai piedi delle colline essendo essi due fiumi ad estuario».
Soltanto dopo «la “bonifica integrale” portata a termine dal fascismo ma iniziata nel 1917-18 utilizzando una trentina di prigionieri austriaci, quei terreni vennero prosciugati ed avviati all’agricoltura. Di quei terreni bonificati si appropriarono, legalmente o illegalmente, le famiglie patrizie e borghesi residenti ad Amantea (De Luca, Cavallo, Furgiuele)».
Quando negli anni venti del secolo scorso «vennero costruite la Statale 18 e la Silana di Cariati che si incrociavano in prossimità della ferrovia attivata a fine ottocento, sul pianoro di Campora incominciarono a sorgere le prime case sparse che rimasero tali fino alla metà del Novecento quando, grazie alle rimesse degli emigranti e per effetto della crisi dell’agricoltura di collina, molte famiglie di contadini senza terra (coloni, mezzadri, fittavoli) decisero di costruirsi una loro casa verso il mare e tentare l’avvio di altre attività. Il convergente interesse di alcuni proprietari a vendere i propri terrieri la cui rendita si andava assottigliando, nonché l’interesse degli abitanti dei Comuni montani e collinari (Aiello, Serra, Cleto, Falerna, S. Mango, Nocera T.) che, come in tutta la Calabria, si spostavano verso le marine, hanno favorito la veloce ma disordinata formazione di un nuovo centro urbano».
Man mano che «quelle famiglie dell’entroterra scendevano verso il mare alcune di loro avviavano sul posto nuove attività nel terziario, altre continuavano la coltivazione della terra introducendo colture innovative come la cipolla nella piana del Savuto e le primizie ortofrutticole nella Marinella Oliva, mentre Coreca, rinomata località balneare, fungeva da raccordo tra le due aree ed attrazione per investimenti nel settore turistico».
Coloro che provenivano dai paesi vicini «continuavano comunque ad avere un rapporto sentimentale col proprio luogo d’origine portandosi dentro l’ethos della comunità abbandonata, i rapporti di vicinato lasciati alle spalle, le relazioni familiari allargate e solidali tipiche delle piccole comunità locali. Non più cittadini del proprio paese d’origine dove i rapporti umani erano scanditi da una secolare cultura di relazioni familiari, dove i contatti con gli amministratori locali erano diretti ed immediati, dove il sindaco e gli assessori erano giornalmente “a portata di mano”».
Insediandosi a Campora essi «si sono trovati a vivere in una frazione lontana dal Municipio, dal sindaco, dagli assessori e con un rapporto tra cittadini ed amministratori del tutto diverso da quello vissuto fino ad allora, più oggettivo e meno diretto. In una comunità civica di media grandezza come è Amantea i rapporti tra amministrati ed amministratori sono necessariamente meno immediati, meno personali, meno materni e protettivi, il che ha rafforzato nel loro animo quel senso dell’abbandono e della lontananza dalle loro radici forzatamente estirpate. Sentendosi quasi orfani dell’amministratore-padre che avevano abbandonato, andavano alla ricerca di un altro padre che gli somigliasse ma ne avevano trovato uno che aveva molti altri figli e che doveva badare a tutti loro in egual misura».
Tale condizione ha fatto nascere la convinzione «di essere trattati come figli abbandonati e che il nuovo padre badava di più ai propri figli naturali e meno a loro; non a caso dal subconscio di qualche secessionista irriducibile ma poco avveduto, è emersa in questi giorni l’immagine di figli ingrati (amanteani) che vivono da parassiti succhiando il latte della madre munifica (Campora)».
Le amministrazioni comunali, a loro volta, «non hanno compreso come bisognava interpretare quei sentimenti riportandoli nell’alveo di una cultura unitaria come supporto per la costruzione di una nuova città che facesse della diversità una ricchezza e dell’unità di intenti e di proposte il comune il futuro. Si è pensato che per “governare” quelle diversità bastava dirottare maggiori finanziamenti per favorire lo sviluppo del nuovo centro urbano che cresceva anche grazie all’intraprendenza economica di molti nuovi arrivati, mentre invece alcuni amministratori eletti in loco utilizzavano quel sentimento negativo per propri fini elettorali».
Quantunque tutto ciò, «oggi vi sono molti cittadini di Campora, credo sia la maggioranza, che non sono d’accordo con i promotori della separazione da Amantea; sono quelli che hanno saputo e sanno sostituire nei loro ragionamenti la categoria logica della particolarità con quella della totalità e che intendono agire e lottare insieme a tutti gli altri cittadini di Amantea».
Questi cittadini «contrari alla divisione del territorio comunale e dei suoi abitanti non sono soltanto coloro che hanno antiche radici sul territorio e che conoscono, sia per esperienza diretta che per comunicazione intra-familiare, la vera storia e l’evolversi della comunità camporese nel corso dei decenni; tra di loro vi sono anche molti di provenienza diversa che hanno capito la necessità di difendere l’unità territoriale e comunitaria che altri vogliono frantumare con l’aiuto strumentale di politici esterni e che agiscono per finalità che nulla hanno a che vedere con gli interessi dei cittadini di Campora».
Infine: «Nella fondata speranza che il Tar, giudicando nel merito dopo attenta ed autonoma istruttoria, valuterà con la necessaria oggettività e scevro da ogni interferenza illecita del potere politico o di altra natura, spetterà all’amministrazione comunale ma anche a tutti i cittadini di Campora e di Amantea saper costruire un nuovo itinerario culturale, politico, amministrativo che rafforzi il senso della “unità nella diversità” e che porti Amantea tutta fuori dalla palude nella quale amministratori affaristi ed incapaci l’hanno precipitata. Questo si può e si deve fare».
Professore Alfonso Lorelli