Il Tribunale di Paola. Nel riquadro l'avvocato Emilio Perfetti

PAOLA (Cs) – All’esito del processo con rito abbreviato condizionato all’escussione di testimoni, svoltosi ieri sera al Tribunale di Paola, un 42enne di Verbicaro, S.S., è stato condannato a due anni di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali per violenza sessuale contro una 14enne, figlia di una parente della moglie.

Il presunto “orco”, infatti, è il marito di una cugina dei genitori della presunta vittima.

L’uomo, entrando nel letto dove la parte offesa si trovava assieme alla propria figlioletta, costringeva la cuginetta di quest’ultima, minore di 14 anni d’età, a subire atti sessuali consistiti nel palpeggiarla, toccarle il seno e le parti intime.

S.S. è stato anche interdetto in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado e da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori nonché interdetto dai pubblici uffici per la durata della pena.

Pena sospesa, subordinata alla partecipazione ad un corso di recupero presso il Centro Italiano Femminile di Cosenza, secondo il programma che stabilirà il predetto centro, da intraprendere entro il termine di novanta giorni dal passaggio in giudicato della presente sentenza.

Quando si è verificato il fattaccio, la ragazzina, che era scesa in vacanza a Verbicaro, sulla costa tirrenica cosentina, assieme alla famiglia, di rientro presso la propria città era completamente cambiata, piombata in uno stato di depressione, crisi di panico e mancanza di fiducia verso tutti. Poi ha raccontato le “attenzioni” subite a una amichetta e poi ai genitori. Da qui la denuncia del papà, le indagini e il processo.

In Tribunale, durante la discussione, l’avvocato di parte civile, Emilio Perfetti del Foro di Paola, ha spiegato che, in questo tipo di reati ci si trova quasi sempre di fronte all’assenza di qualsiasi elemento esterno da cui trarre la prova del fatto perché quasi sempre la vittima è l’unico testimone della condotta dell’imputato. La domanda, quindi, che bisogna porsi – ha aggiunto l’avvocato Perfetti – è essenzialmente: la persona offesa ha raccontato la sua esperienza in maniera lineare, puntuale?”.

Ed ancor prima: “Il testimone è idoneo a rendere testimonianza? Già su quest’ultimo quesito abbiamo una risposta netta e puntuale da parte del perito del Giudice”, il quale ha affermato “che è idonea e capace di dire la verità attraverso una narrazione e una rievocazione espositiva libere da funzionamenti mentali immaturativi, conflittuali o patologici”. Aspetti sostanzialmente confermati anche dal consulente della difesa.

“Sgombrato il campo da questo interrogativo – ha spiegato il penalista, come risulta dai verbali – rimane la valutazione sulla credibilità” della ragazzina e “sull’attendibilità del suo narrato. La valutazione andrà condotta secondo i criteri comuni, che fanno riferimento sia alla attendibilità soggettiva del teste, desunta dalle sue caratteristiche personali, morali e intellettive, e dall’assenza di motivi di rancore o di astio verso l’imputato, sia all’attendibilità oggettiva del racconto, ricavabile dalla sua genesi spontanea, dalla coerenza interna e dalla sua eventuale concordanza con altri elementi fattuali acquisiti al processo, senza che l’eventuale discordanza con prove orali possa inficiare”.

“La natura sessuale della condotta” dell’imputato, “insidiosa e rapida, è indubitabile per le peculiari zone del corpo interessate come indubitabile è la coscienza e volontà di recare offesa alla libertà di autodeterminazione sessuale della vittima e quindi idonea ad integrare il reato di cui all’art. 609-bis c.p..

E ancora: “Se si possono nutrire dubbi sulla fase iniziale dell’aggressione sessuale ai danni” della ragazzina “consistita nei c.d. grattini sulla schiena che si presterebbero ad una interpretazione alternativa; visti anche i legami familiari, certamente quei dubbi vengono dissipati nella fase dei palpeggiamenti del seno e nel toccamento delle parti intime della minore che, per le modalità raccontate sono estremamente univoci nel rappresentare la fattispecie contestata”, ha fatto notare l’avvocato.

“E la condotta appare ancor più disgustosa se solo si pensa al grado di fiducia che la minore riponeva nel suo aggressore da lei stessa definito “come un altro papà”… L’imputato, dunque, andrà certamente dichiarato responsabile del reato contestato”, è stata la richiesta di Emilio Perfetti, che non ha chiesto una pena esemplare, una condanna pesante, ma “unicamente una sentenza, una statuizione che dichiari” che la ragazzina “ ha detto il vero, che la Giustizia le ha creduto, che il coraggio di denunciare un fatto così grave che colpisce la sfera più intima di una persona è stato premiato dallo Stato così da poter essere da esempio anche per chi verrà dopo, per chi subirà le stesse aggressioni”.

E così è stato. Il presunto “orco” è stato condannato e la pena è sospesa solo perché subordinata alla partecipazione ad un corso di recupero presso il Centro Italiano Femminile di Cosenza.