REDAZIONE – La terribile esperienza vissuta da una ragazza di 21 anni nella mattina di mercoledì a Milano, si snoda lungo le parole di un racconto che apre alla domanda su come tutto ciò sia potuto accadere nell’indifferenza generale.
“Mi ha afferrata e tirata verso di sé facendomi stendere con la forza sui sedili, in un secondo mi ha immobilizzata, stretta tra il finestrino e un sedile. Per lo choc – viene riportato dal Corriere della Sera nell’edizione locale di Bergamo – ho perso conoscenza”.
Teatro della violenza, il regionale 24531 che collega Varese a Milano. La ragazza assistita dagli agenti della Polfer e accompagnata al pronto soccorso di Treviglio ha raccontato di essere stata avvicinata dal suo aggressore nel sottopasso della stazione di Porta Garibaldi: “Stavo cercando delle informazioni. Dovevo raggiungere il mio fidanzato a Bergamo per recuperare una borsa che avevo dimenticato a casa sua. Mi si è avvicinato un uomo, sui 40 anni, dalla carnagione scura, all’apparenza sudamericano, invitandomi a prendere il passante”.
Ma la violenza non si è verificata subito.
Una volta salita sul treno che si ferma a Porta Garibaldi, la ragazza si è accorta di essere in compagnia di quella strana presenza. Sentendosi braccata si è accertata di non aver sbagliato treno. Racconta di essersi sentita ancor più smarrita quando un altro passeggero intuendo che la situazione stesse degenerando, si è allontanato frettolosamente, lasciandola sola con l’uomo.
Tutto è successo molto in fretta, senza dare scampo alla vittima. La violenza è avvenuta nei dieci minuti, lunghi, interminabili, quelli che impiega il treno tra le fermate di Porta Garibaldi e Porta Vittoria.
Nel panico, la perdita dei sensi. “Quando ho ripreso conoscenza, ha raccontato, ho urlato più forte che potevo e gli ho sferrato un colpo sotto il mento. Sono scappata finché ho trovato il controllore e con lui siamo corsi fino in cima al treno dove c’era la polizia. Mi ha salvato l’istinto di sopravvivenza”.
A nulla è servito bloccare le porte poiché l’aggressore era già fuggito.
La ragazza dopo aver vissuto la brutta esperienza, ha voluto anche rassicurare e quasi giustificarsi con l’opinione pubblica: “Sono vestita di nero, indosso dei pantaloni larghi, un cappotto lungo e degli anfibi. Si dice che a venire violentate siano donne o ragazze che indossano minigonne o vestiti succinti. Come se la cercassero e avessero una qualche responsabilità. Invece, non è così”.
Luigi Sesti