Home Calabria Avvocato chiede risarcimento milionario contro un suo collaboratore: “Il fatto non sussiste”

Avvocato chiede risarcimento milionario contro un suo collaboratore: “Il fatto non sussiste”

Oltre a sporgere per calunnia e falsa testimonianza, il legale ha chiesto 500 mila euro di danni

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Tribunale di Cosenza

COSENZA – Chiesto un risarcimento milionario da parte di un avvocato della provincia di Cosenza contro un suo collaboratore che lo ha accusato di diversi maltrattamenti tra il 2007 e il febbraio 2015. Per il giudice “il fatto non sussiste”

Il Tribunale monocratico ha liquidato con un perentorio “perché il fatto non sussiste” le condotte lamentate da un avvocato contro il titolare dello studio legale, dove lo stesso lavorava, perpetrate a suo dire, dal 2007 al febbraio del 2015 (durante il quale non ha spiegato a quale titolo sia stato costretto a subirle essendo peraltro un professionista già all’epoca quasi cinquantenne).

Il titolare stesso, oltre a sporgere denuncia per calunnia e falsa testimonianza, ha dato incarico all’avvocato Francesca Occhiuzzi del Foro di Paola di chiedere un risarcimento del danno per 500 mila euro, proporzionato alla notorietà ed alle posizioni che lo riguardano.

Come ha spiegato alla professionista del Tirreno, a maggio del 2015, nello stesso giorno in cui l’avvocato con la sua automobile era andato a prelevare il collega dove si trovava per un ritiro spirituale, il collaboratore a partire dal pomeriggio spariva dallo studio legale senza fornire alcuna giustificazione o preavviso. Tutte vane le numerose telefonate fatte per sapere i motivi della scomparsa e concordare il da farsi per il futuro, considerata la mole di lavoro a e gli adempienti da espletare.

Ciò anche per evitare determinazioni legali, stante il lungo lasso di amicizia che legava i due colleghi da più di vent’anni, senza che alcuna incomprensione di sorta avesse mai incrinato i loro rapporti.

Appariva dai social, con non poca sorpresa, essendo il collaboratore ancora sposato con una professoressa di Cosenza, che egli nel mentre, intesseva una relazione fino ad allora completamente segreta con la segretaria dello studio abbandonato, anch’essa allontanatasi senza alcun preavviso o giustificazione quando il titolare si trovava in Germania. Si scopriva, inoltre, che gli stessi avevano aperto un altro studio legale, anche proponendosi presso la clientela che avevano assistito, in veste diversa, fino a qualche settimana prima.

Di fronte all’inevitabile richiesta di spiegazioni, di aggiornamento sullo stato dei fascicoli affidati e sulla restituzione del carteggio, il professionista veniva prima attinto da una pesante vertenza sindacale da parte della segretaria, conclusasi poco dopo con un nulla di fatto per la ricorrente, poi da un processo penale su querela del collaboratore, il quale lo accusava di averlo sottoposto ad un pressante corteggiamento (solo) tra il 2007 e il 2015, nonostante si frequentassero assiduamente dal 1993. E poi, di averlo costretto ad osceni rituali (persino in sedi istituzionali) cui egli avrebbe consentito non comprendendone il tenore; di avergli impedito di telefonare alla moglie ed all’amante; pedinamenti e sequestri di persona, spesso in macchina dove era egli a guidare, persino per dieci ore consecutive.

E ciò, nonostante il sequestrante, quale trasportato, a causa di un grave incidente, deambulasse con le stampelle, portando il gesso fino al ginocchio destro. Ma vi è di più. Il professionista veniva anche accusato di avere strumentalizzato contro il collaboratore il trattamento della sua separazione dalla moglie professoressa, attivata a ridosso della sua fuga dallo studio legale, addirittura mettendosi d’accordo con l’avvocato della controparte; dunque è stato costretto a provare che per quella stessa separazione aveva intentato un’azione contro il collaboratore per il pagamento della sua notula, liquidatagli dal tribunale, e che in quella sede nulla gli era stato obiettato circa un qualsiasi patrocinio infedele, pur potendovi il convenuto ricorrere per non pagare.

E che anzi, durante la separazione, il collaboratore, essendo stato allontanato dalla moglie, gli aveva chiesto di poter vivere in un suo appartamento adiacente allo studio legale, dove ancora persistevano effetti e documenti personali, in parte restituiti nelle sue mani, in parte banco judicis. La stessa circostanza è stata confermata dalla moglie del collaboratore.  Durante il processo il professionista si è chiesto se fosse possibile che un soggetto, il quale lamenta tali maltrattamenti, avrebbe potuto chiedere di andare a vivere in casa di chi ne fosse autore.

Il giudice non ha potuto che escludere con la formula più perentoria le condotte lamentate dal collaboratore tra il 2007 ed il febbraio 2015. Da qui la decisone del professionista di intentare la causa risarcitoria, la restituzione delle spese legali secondo la legge Cartabia, nonché la remissione degli atti all’ufficio di Procura per l’accertamento di eventuali reati non solo contro il collaboratore, ma anche contro il pm (onorario – assegnatario del fascicolo), il quale avrebbe potuto meglio valutare il materiale sottoposto alla sua attenzione senza costringerlo a circa otto anni di processo.

Si riserva inoltre di valutare se vi siano gli estremi per agire contro alcune notizie di stampa completamente false, le quali riportavano come le condotte sopra accennate fossero state confortate dalla sentenza del giudice se non dalla prescrizione.

In verità la vicenda non è ancora del tutto chiarita relativamente a taluni aspetti di poco momento che riguarderebbero il periodo successivo all’abbandono del collaboratore (circoscritti dal Tribunale tra febbraio e settembre 2015, quindi nulla a che vedere con quanto asserito a partire già dal 2007), questione quanto mai enigmatica all’esito complessivo del dispositivo.

L’avvocato Occhiuzzi aspetta la lettura della motivazione onde potervi interloquire, nonostante gli stessi fatti si prescrivano nelle more dell’esecutività della decisione di primo grado. La stessa ha preannunciato, che qualora permanesse un qualsivoglia aspetto che minasse l’onorabilità del suo assistito, rinuncerà alla prescrizione o a qualsiasi mezzo in executivis devolvendo la questione al giudice superiore.

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