Home Cronache Tentata estorsione, l’atto incendiario dei “picciotti” contro la famiglia di pescatori

Tentata estorsione, l’atto incendiario dei “picciotti” contro la famiglia di pescatori

Nel mirino del racket il magazzino e un'automobile di proprietà dei lavoratori sanlucidani

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SAN LUCIDO (Cs) – L’ordinanza custodiale a carico di soggetti intranei alla cosca Calabria-Tundis focalizza l’attenzione anche sulla tentata estorsione a danno di pescatori sanlucidani, infaticabili lavoratori della zona che sempre vivono dei propri sacrifici.

In data 4.12.2018 veniva appiccato un fuoco con l’obbiettivo di provocare un incendio presso il magazzino di proprietà delle vittime ubicato in San Lucido.
A distanza di pochi giorni, in data 12.12.2018, veniva data alle fiamme l’autovettura Fiat Freemont di proprietà della coniuge di un pescatore.

Secondo la Dda «è configurabile l’estorsione in forma tentata a fronte dell’oggettiva idoneità e univocità degli atti realizzati allo scopo di piegare le vittime onerandole di ricercare referenti criminali sul territorio per mettersi in regola».

Anche in questo caso si registra il medesimo modus operanti caratterizzato da un incendio (non divampato per cause indipendenti dalla volontà degli agenti) e da un danneggiamento commesso a pochi giorni di distanza, entrambi eventi che hanno preso di mira gli stessi destinatari sui quali è stata esercitata in tal modo una grave forma di coercizione.

«Pertanto, fermo restando che non vi è prova che le vittime si siano piegate al pizzo imposto, le attività compiute tra il 4 e il 12 dicembre 2018 integrano la fattispecie estorsiva quantomeno in forma tentata. Le responsabilità individuali emergono manifestamente dai dati captativi che rivelano il coinvolgimento dei maggiorenti della consorteria mafiosa investigata», spiega la Dda.

In particolare, con riferimento all’episodio del 4 dicembre, assume una certa valenza indiziaria una captazione ambientale all’interno dell’abitazione Calabria.

L’intercettazione in questione assume un tenore palesemente autoaccusatorio e rileva le responsabilità di Tundis Andrea e Arlia Gianluca quali autori materiali. Ed infatti, nel corso della conversazione gli stessi raccontano a Calabria Pietro le varie fasi dell’incendio al magazzino di proprietà della famiglia di commercianti di prodotti ittici.

Al riguardo, Tundis Andrea racconta, innanzitutto, di aver percorso la strada sovrastante l’obiettivo e di essere stato inseguito, unitamente al suo complice Arlia Gianluca (di cui farà il nome più avanti), da un residente, senza specificare – perché evidentemente già risaputo dagli astanti – di cosa si sia occupato fuori casa («Però per forza da sopra siamo andati omissis È venuto uno e c’è corso anche dietro, però (incomprensibile»).

L’episodio preoccupa Calabria Pietro, che subito chiede al cognato se l’inseguitore li abbia riconosciuti, ricevendo risposta negativa.