Home Calabria Processo al maresciallo-sceriffo: arresto abusivo, lesioni e frequentazioni chiacchierate

Processo al maresciallo-sceriffo: arresto abusivo, lesioni e frequentazioni chiacchierate

In aula la testimonianza dell'ispettore di Polizia. La tecnica degli OP/85 (annotazioni di soggetti di interesse operativo) contro i "nemici"

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La Procura della Repubblica di Paola

PAOLA (Cs) – Il 14 giugno prossimo si chiuderà, presso il Tribunale di Paola, sulla costa tirrenica cosentina, il processo di primo grado a carico del maresciallo dei carabinieri Michele Ferrante, imputato per le accuse – come formulate dal procuratore Pierpaolo Bruni – di “perquisizione e ispezione personali arbitrarie (articolo 609 c.p.), lesioni personali aggravate (articoli 582, 585), minacce (articolo 612) e abuso d’ufficio (articolo 323), ovvero (quale imputazione alternativa ai capi a) e b) – perquisizione e ispezione personali arbitrarie e le lesioni personali aggravate – imputato per abuso d’ufficio”.

Reati consumati, secondo la pubblica accusa, a danno del politico ambientalista di Fuscaldo Davide Di Domenico, difeso dall’avvocato Antonio Sanvito.

Un processo molto delicato e importante, anche perché all’attenzione del Parlamento e del Ministero per via di tre distinte interrogazioni parlamentari, a suo tempo predisposte dal vice presidente del senato Roberto Calderoli, unitamente ad altri parlamentari leghisti, nonché dall’ex presidente della commissione antimafia Nicola Morra, assieme a parlamentari del M5S.

Il 14 giugno prossimo, pertanto, si terrà l’esame dell’imputato – difeso dagli avvocati Giuseppe Bruno e Armando Sabato – e quindi la discussione con la chiusura del lungo dibattimento: iniziato a ottobre 2019 (i fatti sono del 26.5.2016) e protrattosi per ben 16 udienze (incombe la prescrizione).

Ciò è stato calendarizzato mercoledì scorso, durante l’udienza, presieduta dal nuovo responsabile del collegio penale, il giudice Salvatore Carpino.

LA VICENDA GIUDIZIARIA

La Procura ha chiesto e ottenuto l’emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti del maresciallo dei Carabinieri Michele Ferrante nell’ambito del “caso Di Domenico”.

Sulle azioni consumate dal militare dell’Arma, poi trasferito dalla compagnia di Paola al comando di Cosenza, così si è espressa la Procura:

“abusando dei potere inerenti alle sue funzioni, ossia in violazione degli articoli 97 della Costituzione, degli articoli 36 e 57 del regolamento di disciplina militare e segnatamente, libero dal servizio ed in abiti civili, eseguiva una perquisizioni ed una ispezione personale a Di Domenico Davide, senza alcuna giustificazione e omettendo di redigere il verbale delle operazioni compiute al solo fine di impedire al Di Domenico di fotografare lo stesso e le persone con cui si intratteneva”, durante un pubblico comizio.

Al fine di “eseguire il reato”, “rincorrendolo per immobilizzarlo – prosegue l’accusa – e così facendolo cadere a terra, cagionava a Di Domenico trauma contusivo gomito destro con frattura del capitello radiale (95 giorni di prognosi)”.

Con l’aggravante di aver commesso il fatto con “abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti la sua qualità di pubblico ufficiale”.

Al maresciallo viene poi contestata la minaccia aggravata: “Te la farò pagare”, avrebbe detto a Di Domenico, “ti faccio vedere io, dove cazzo devi andare…”.

Ed, ancora, in “violazione del dovere di astensione e comunque in violazione dell’art. 97 della Costituzione, ossia in violazione dei doveri di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione, con sviamento delle finalità specifiche dei propri poteri”, il Ferrante “predisponeva e redigeva personalmente l’informativa di reato relativa alla denuncia a carico del Di Domenico, omettendo di astenersi in presenza di un proprio interesse ed arrecando intenzionalmente un danno ingiusto al Di Domenico”.

In tale contesto vi sono una lunga sfilza di “Op/85” sospetti e capestri scritti da Ferrante contro Di Domenico e suoi amici e parenti, tra cui medici, poliziotti, professionisti (tutti incensurati).

L’ARCHIVIAZIONE A FAVORE DELL’AMBIENTALISTA

I Pubblici ministeri Pierpaolo Bruni e Anna Chiara Fasano avevano chiesto l’archiviazione del procedimento a carico del politico ambientalista e vittima del racket, Davide Di Domenico, fuscaldese, accusato proprio da Michele Ferrante di resistenza a pubblico ufficiale e interferenza illecita nella vita privata (la foto scattata nel pubblico comizio, ndr).

In ossequio a tale richiesta il giudice Maria Grazia Elia aveva proceduto all’archiviazione perchè “non si ravvisano, sulla scorta delle indagini svolte, estremi di reato”.

L’ULTIMA UDIENZA DEL PROCESSO: L’ESAME DELL’ISPETTORE DI POLIZIA RESPONSABILE DELL’UFFICIO ANTICRIMINE DEL COMMISSARIATO DI P.S. DI PAOLA

L’ispettore ha ricostruito la vicenda, accedendo in particolare i riflettori sui famigerati “OP/85”, ossia annotazioni di soggetti di interesse operativo, rifilate dal Ferrante e da due suoi fedelissimi (amici e colleghi) sia al Di Domenico e sia ad amici e conoscenti di quest’ultimo, tra cui poliziotti, medici, medici, impiegati di Procura e una lunga sfilza di professionisti incensurati, “bruciati” nella banca dati interforze solo perché in contatto, a vario titolo, col Di Domenico.

Soggetti fortemente penalizzati da quelle annotazioni, come chiarito in udienza: se, infatti, un segnalato dovesse chiedere il rilascio di un porto d’armi, con quelle trascrizioni sul proprio capo, riceverebbe un diniego, così come accaduto proprio per quelle segnalazioni. O, perché no, se uno dei segnalati dovesse recarsi fuori sede, magari in un aeroporto, chi è preposto al controllo, vedendo quelle annotazioni, procederebbe a verifiche molto più approfondite, pensando di trovarsi di fronte a un soggetto attenzionato, arrecando disagio potenziale all’incensurato di turno. Stessa cosa si verificherebbe in caso di verifica a un posto di blocco delle forze dell’ordine.

Durante l’esame del testimone, altamente qualificato ed anche egli inserito assieme moglie e figlio poliziotto nella banca dati interforze dal ristretto gruppetto di fedelissimi dello “sceriffo” Ferrante, è stato fatto notare come non esistesse alcun interesse operativo né investigativo, e che – a detta dell’esperto – tali annotazioni sarebbero state totalmente abusive.

Su domanda dell’avvocato Antonio Sanvito e del presidente Carpino, l’ispettore di Polizia, citato dalla difesa, spiegava la procedura di inserimento informazioni nella banca dati SDI che, a suo parere, nel caso specifico “tali annotazioni non potevano essere effettuate senza motivi di ordine pubblico o a persone incensurate, senza motivi legati ad azioni repressive o a questioni di criminalità. Ciò soprattutto stando anche allo stato di incensuratezza dei segnalati e della stessa persona offesa”.

“Cosa ancora più strana – è stato fatto notare in dibattimento dal testimone, responsabile dell’ufficio Anticrimine del commissariato di P.S. di Paola, è che a rifilare questi OP/85 erano sempre Ferrante (all’epoca comandante della radiomobile di Paola) e due  suoi colleghi, e non anche altri carabinieri di diversi reparti o la Polizia”.

Ma v’è di più, a domanda se l’ispettore fosse a conoscenza di procedimenti a carico dell’ambientalista che potessero giustificare inserimenti nella banca dati, la risposta è stata secca: assolutamente no.

Emergeva, poi, infine, dalle dichiarazioni dell’ispettore di Polizia, che proprio il maresciallo Ferrante frequentasse persone pregiudicate vicine alla cosca Muto di Cetraro, come dimostrano foto postate su facebook di convivi luculliani tra famiglie. Circostanza, quest’ultima, riferita anche da un altro testimone nella precedente udienza.

E’ stata poi sentita la moglie della persona offesa la quale riferiva che da quando suo marito aveva denunciato il maresciallo, lei con la sua famiglia “era stata presa di mira dal sottufficiale dell’Arma e da qualche suo collega, con fermi ai posti di blocco, appostamenti e OP55″.

Sentito, poi, un altro testimone, collega del maresciallo Ferrante e suo subalterno, dichiarava che era la persona offesa (Davide Di Domenico) che alla loro vista si faceva notare in paese per rimediare OP/85.

Un ultimo fatto curioso emerso in udienza: a procedere materialmente agli inserimenti in banca dati – come riferito in udienza – sarebbe stato sempre Ferrante, denunciato dalla persona offesa e, per questo, avrebbe dovuto astenersi.

In un caso, infine, ci sarebbe stato un maresciallo in pensione di Fuscaldo a monitorare il politico ambientalista e suoi conoscenti, per poi raccontare i fatti al Ferrante che a distanza di mesi inseriva il tutto nella banca dati.

Insomma, vedremo come si chiuderà il processo. Un dato certo, al momento, è che il maresciallo Ferrante è presunto innocente fino alla conclusione del terzo grado di giudizio.