COSENZA – Celestino Abbruzzese, classe ’76, meglio noto come “Micetto”, è uno dei collaboratori di giustizia più recenti. Grazie a lui e a diverse altre decine di “pentiti“, vecchi e nuovi, la DDA è riuscita a ricostruire tutta la storia criminale degli ultimi decenni.
“Micetto” appartiene alla famiglia “Banana”. E’ figlio del capostipite Fioravante Abbruzzese e, insieme a quattro dei suoi sei fratelli, ha rappresentato fino a quando era in attività un gruppo autonomo all’interno del clan degli zingari cosentini, in particolare la cellula criminale deputata alla gestione dello spaccio di eroina.
«L’entrata in scena di questo collaboratore, già a capo di una cellula di spacciatori del centro storico sgominata con l’operazione “Job center” – spiega la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che grazie a “Micetto” è riuscita a mettere assieme una serie di tasselli sui nuovi equilibri criminali nel cosentino – segna un punto di svolta nella comprensione investigativa di quello che è il Sistema Cosenza nella sua declinazione più attuale».
Celestino Abbruzzese, peraltro, è stato riscontrato in più occasioni da sua moglie Anna Palmieri che lo ha seguito nel percorso collaborativo, fornendo informazioni ritenute «preziose» su svariati crimini commessi dalla sua famiglia, compresi omicidi ed estorsioni, soffermandosi poi sulla droga, la specialità di casa Abbruzzese.
Ed, infatti, le confessioni di “Micetto“ partono proprio dai canali di approvvigionamento della sostanza stupefacente nel territorio cosentino. La “roba” verrebbe prima acquistata a Rosarno e poi, in esclusiva, dai cugini di Cassano allo Ionio.
Micetto delinea, quindi, i nuovi assetti criminali cosentini, facendo luce sia sulle attività illecite condotte di comune accordo con i clan italiani e sia sulle tensioni interne alla confederazione criminale che arrivano a intaccare anche l’unità degli zingari e, addirittura, del suo stesso nucleo familiare.
Abbruzzese, infatti, arriverà a cacciare di casa suo fratello – rivela agli atti la DDA – perché accusato di avere, in sua assenza, occupato la piazza di spaccio con i suoi pusher.
Sulla riorganizzazione della malavita locale, dopo il duro colpo incassato a seguito degli arresti di “Nuova famiglia”, Abbruzzese riferisce di una apparente frammentazione, evidenziano che, nella sola cosca dei nomadi, vi sono tre derivazioni: il clan Rango-Zingari, che dopo l’arresto di Maurizio Rango e la breve reggenza di Cosimo Bevilacqua, poi interrotta da un arresto, è guidato da Gennaro Presta: il gruppo Abbruzzese “Banana” del quale personaggio di spicco è suo fratello Luigi; il gruppo di Antonio Abruzzese meglio noto come “Strusciatappine”.
Anche gli italiani sono spaccati e litigiosi: Roberto Porcaro è considerato un vertice indiscusso, mentre in Mario “Renato” Piromallo è il referente di un secondo sottogruppo. Entrambi sono coadiuvati da più o meno fedeli esecutori degli ordini dei capi e dell’esercizio delle attività criminali.
«È a queste persone che, oggi, i commercianti e gli imprenditori della città e dell’hinterland – spiega la DDA – pagano le estorsioni che, prima di essere portate a compimento sono concordate tra i referenti dei diversi gruppi e poi portate all’incasso, prima di essere spartite».
Per quanto riguarda, invece, il mercato dello spaccio cittadino, “Micetto” riferisce di altre batterie criminali in campo, anch’esse dotate di un’organizzazione gerarchica e di una considerevole autonomia.
Nel rione San Vito, una di queste farebbe capo a Gianfranco Sganga; un’altra ad Alfonsino Falbo (più prossimo al duo Porcaro-Patitucci, ma anch’egli in posizione indipendente,); Salvatore Ariello e il suo gruppo di spacciatori; il gruppo dei fratelli Michele e Umberto Di Puppo a Rende; il gruppo dei fermani Mario e Francesco Oliveti, legati al clan Chirillo di Paterno Calabro.
Sempre nell’area cosiddetta “nomade”, c’è Fiore Bevilacqua alias “Manu muzza”, esponente della vecchia malavita degli anni Ottanta, attivo in combutta con i suoi figli Nicola e Danilo in diversi affari di natura illecita e, soprattutto, in un segmento del narcotraffico locale e, infine, un ulteriore tentacolo rappresentato da Luigi Bevilacqua e suo figlio Cosimo.
«Un vero e proprio arcipelago del malaffare – spiega la DDA – fondato su equilibri fragilissimi ma che si mantiene in piedi in virtù di un accordo stipulato a monte», quello che lo stesso collaboratore di giustizia Celestino Abbruzzese definisce in modo inequivocabile alla stregua di “Sistema”, ovvero la nuova carta costitutiva del crimine cosentino che disciplina i criteri di approvvigionamento delle sostanze stupefacenti secondo un insieme di regole e un codice sanzionatorio per chi le viola».
Qualunque violazione delle regole viene punito in modo severo, costringendo i responsabili a riparazioni economiche e punizioni fisiche più o meno gravi. Derive di questo tipo saranno frequenti, ancora una volta in ossequio all’irrequietezza e all’instabilità che caratterizza il crimine cosentino, storicamente incapace di assestarsi attorno a un proprio centro di gravità permanente.