Il tema della possibile fusione tra Castrolibero, Cosenza e Rende è inevitabilmente centrale per le ripercussioni che avrebbe sui cittadini e sulle amministrazioni coinvolte. Ne parliamo con Antonello Barbieri, esperto della tematica in quanto Presidente dell’Associazione FCCN (Fusione dei Comuni Coordinamento Nazionale). Ne è emerso che il problema non sta nel meccanismo delle fusioni, ma in questa fusione, pensata e progettata con modalità inaccettabili per la comunità.
«Le fusioni in Italia funzionano. C’è una piccola criticità che spero venga risolta a Corigliano-Rossano, ma generalmente portano benefici se pensiamo ai contributi e all’ottimizzazione: lo certifica la Corte dei conti, gli studi fatti dal Ministero dell’Interno, un sondaggio dell’Associazione FCCN che ha posto 50 domande a quasi tutti i sindaci dei comuni fusi, riscontrando risultati positivi. Tuttavia, non abbiamo esperienze di fusioni di comuni così grandi come quella fra Castrolibero, Rende e Cosenza: ricordiamo che supererebbe quota 100.000 abitanti».
L’aspetto che stride di più riguarda «il compito delle regioni in merito alla riorganizzazione del territorio: trarre il massimo vantaggio per i cittadini. È un compito che viene esplicitato con forza nella Costituzione. Quest’ultima assegna sì alle regioni discrezionalità assoluta, tant’è che possono teoricamente non tener conto dei Consigli comunali e dei singoli, ma devono farlo con criterio. E criterio significa attuare una ricognizione su tutto il territorio, cosa che dovrebbe fare la Regione Calabria come accaduto in Friuli, Emilia, Toscana».
Il processo di fusione deve essere articolato in tre punti: Le regioni hanno tutti gli elementi per comprendere autonomamente se un territorio è amministrato in modo idoneo o meno: il primo è chiedersi se venga garantita l’erogazione dei servizi essenziali, come il trasporto locale o la raccolta dei rifiuti. Esistono dei comuni che non sono in grado di farlo, in Calabria come altrove: si parta da quelli, dai territori con le maggiori criticità, che lamentano queste problematiche. Poi, eventualmente, si potrà pensare a realtà come Castrolibero, Cosenza e Rende; la situazione economica di Cosenza consiglierebbe a chiunque faccia l’amministratore regionale una prudenza infinita. Come posso pensare di costringere comuni più piccoli come Castrolibero e Rende ad essere incorporati in una città grande, molto più grande, venendo di fatto annullati? L’unico modo sarebbe garantire una prospettiva migliorativa, ma qui è tutto il contrario. In caso di fusione, i cittadini di Castrolibero e Rende staranno certamente peggio. E i contributi dallo Stato, anche ingenti, non sarebbero risolutivi. Questo significa sacrificare un certo numero di persone che godono di una buona qualità dei servizi. Un amministratore regionale serio e onesto non può farlo; il coinvolgimento dei cittadini è fondamentale. Non è concepibile un’imposizione dall’alto priva di passaggi minimi e di uno studio di fattibilità attuato su tutto il territorio pensato per l’eventuale fusione: bisogna incontrare i cittadini, incontrare i portatori di interesse, le associazioni, le amministrazioni. Serve un percorso che può durare anche uno o due anni e che preveda confronto, discussione, approfondimenti: serve valutare, spiegare, capire e far capire. Con un’analisi globale che verta sull’ambito economico, sociologico e sociale. Lo stesso sistema referendario andrebbe modificato, perché oggi prevede che si sommino i voti di tutti i comuni coinvolti. Bisognerebbe vincolarsi all’esito positivo del referendum in tutti i comuni: tutti devono votare sì. O, se deve essere ignorato, è meglio non farlo».
In definitiva, «posso garantire che anche i più fusionisti – come in Toscana, in Emilia o in Trentino – ritengono che questa forzatura calabrese sia fortemente negativa e pericolosa. Potrebbe essere uno strumento consegnato nelle mani di Giunte regionali senza un criterio predefinito e venire utilizzato in maniera inadeguata. Noi siamo assolutamente contrari e molto preoccupati che una fusione di questo tipo possa creare delle problematiche al meccanismo delle fusioni in generale. In Calabria, fra l’altro, c’è fermento per le fusioni, ma in territori diversi da quelli su cui verte questo dibattito. Così facendo, la Regione Calabria rischia di mettere in cattiva luce, agli occhi dei cittadini, l’opzione fusione proprio in un territorio in cui questo interesse esiste ed è forte».
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