COSENZA – «Sergio Lenci è stato l’architetto che ha progettato il carcere romano di Rebibbia», così Giacomo Mancini, già parlamentare socialista, membro della direzione del PD Calabria e vicepresidente della Fondazione Giacomo Mancini.
Si era messo in testa «di costruire un penitenziario nel quale gli standard di vivibilità fossero elevati, rendendolo meno oppressivo così da diventare luogo nel quale fosse applicata per davvero la funzione rieducativa della pena prevista in costituzione. Mal gliene incorse».
Perché «i terroristi vedevano nell’azione di uomini come Lenci che pensavano di rendere più umane le carceri, il rischio di perdere quella carica eversiva, utile per organizzare la loro agognata e teorizzata rivoluzione che, a loro dire, avrebbero posseduto invece detenuti reclusi in condizioni disumane. Umanizzando la galera, insomma, l’architetto depotenziava la carica protestataria di chi la subiva, e per questo, i brigatisi sentenziarolno la sua uccisione».
Un commando di Prima Linea nel 1980 «fece irruzione nel suo studio, gli spararono un colpo (uno solo) di rivoltella in testa. Lenci miracolosamente sopravvisse. Con una pallottola conficcata nella nuca, ma sopravvisse. Della sua storia fu anche girato un film diretto da Mimmo Calopresti dal titolo la seconda volta».
E, ancora: «Non so cosa ne pensasse Lenci del carcere di Cosenza. E se mai si interrogò sul carcere della nostra città. Personalmente – prodsegue Mancini – ne do un giudizio negativo (e di case circondariale nella mia attività di parlamentare ne ho ispezionate diverse). Credo che andrebbe abbattuto, raso al suolo. Vecchio, obsoleto, superato. Luogo di afflizione e sofferenza per chi vi e’ recluso e per chi vi presta servizo e vi lavora».
Viviamo in una città «in cui si devastano viali, si fanno e disfano piazzette, si abbattono alberi, ma nella quale è complicato solo avviare una riflessione vera e profonda sui luoghi, sugli spazi, sui diritti, sugli ultimi, sulla democrazia. Ma di questo avremo modo e tempo di riparlarne, di discuterne insieme».
Ma fin tanto che «ci saranno carceri come quello di Cosenza e anche ben peggiori, è importante che ci siano associazioni che si occupino dei diritti di tutti coloro che nei carceri vivono, lavorano e sono reclusi.
Tra questi si distinguono «i compagni di Nessuno tocchi Caino, guidati da persone con competenza e passione come Elisabetta Zamparutti e Sergio D’Elia, con il quale abbiamo stretto un bel rapporto di amicizia sui banchi della camera, che svolgono un’opera importante, meritoria e che va sostenuta (nei giorni scorsi sono stati anche in Calabria e a Cosenza: bravi!)».
E per sostenere «nel mio infinitamente piccolo il loro impegno – concude Mancini- anche quest’anno come ogni anno ho deciso di rinnovare l’iscrizione alla loro associazione. Anche per onorare il ricordo di Marco Pannella e delle battaglie politiche e di giustizia che socialisti e radicali hanno affrontato e combattuto fianco a fianco».
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