CATANZARO – Un delitto efferato, premeditato, compiuto per motivi abietti e futili, con una crudeltà inaudita, infliggendole 28 coltellate, dopo aver consumato con lei un rapporto sessuale. Il pm Anna Chiara Reale in aula, nel corso della requisitoria, ha ricostruito gli atti di indagini che hanno portato a processo Sergio Giana, residente a Badolato, l’assassino reo confesso della sua ex amante, Loredana Scalone, 51enne, originaria di Girifalco e residente a Stalettì, uccisa il 23 novembre 2020 alla Scogliera di Pietragrande, nel Catanzarese, per poi chiedere ai giudici della Corte di appello, il carcere a vita per l’imputato accusato di omicidio aggravato e occultamento di cadavere. Poi la discussione della parte civile affidata all’avvocato Arturo Bova e l’udienza è stata aggiornata al prossimo 17 ottobre giorno in cui ci sarà la discussione dell’avvocato difensore Salvatore Staiano.

Secondo le ipotesi di accusa, Sergio Giana aveva concordato con Loredana Scalone, a cui era stato legato da una relazione affettiva, un appuntamento al quale si sarebbe già presentato munito di un coltello da cucina con una lama di 11 centimetri, ritrovato poi sul luogo del delitto e corrispondente al set di posate sequestrate nell’abitazione dell’imputato. L’aveva accompagnata nella casa di due coniugi a Caminia, dove la vittima svolgeva le mansioni di collaboratrice domestica, attendendo che la donna terminasse la sua giornata lavorativa per poi recarsi con lei alla Scogliera di Pietragrande.

Dopo aver consumato un rapporto sessuale, l’uomo le avrebbe inflitto ventotto coltellate sul collo, in testa, sul torace e sul dorso, tentando di strangolarla. Poi l’avrebbe sbattuta, verosimilmente, contro gli spuntoni di roccia delle pareti della scogliera, una serie di colpi, che non hanno lasciato via di scampo alla 51enne: Loredana è morta per insufficienza respiratoria acuta con shock emorragico, lacerazioni polmonari e fratture. Nel corso dell’interrogatorio del 24 novembre di tre anni fa è stato lo stesso Giona a ricostruire la dinamica dell’omicidio, spiegando che dopo averla uccisa ha gettato il corpo tra gli scogli, buttando a mare l’arma del delitto, lavandosi le mani nell’acqua, per poi recarsi nell’abitazione della madre per farsi una doccia e lavare i vestiti, per poi gettarli in un successivo momento in mare insieme al cellulare.

Giona  avrebbe nascosto il corpo di Loredana in un’insenatura tra gli scogli a ridosso della Baia di Pietragrande e sarebbe tornato il giorno dopo per ben due volte sulla scena del crimine per pulire le tracce di sangue con la candeggina e cospargerne il corpo con una sostanza melmosa, probabilmente con del cemento per non renderlo visibile.

La Corte di Assise ha chiesto una relazione medico legale nella quale è stato evidenziato come “Giana sapeva quello che faceva al momento dell’omicidio, che ha tutte le caratteristiche del delitto a sfondo passionale. L’imputato era capace di intendere e di volere, così come oggi è nella piena capacità di partecipare coscientemente al processo, non essendo affetto da patologie psichiatriche tali da influire negativamente sulla sua capacità di giudizio”.

E, ancora “Giana il 23 novembre 2020 non manifestava alcuna infermità di tipo psichico e quindi non venivano inficiate le funzioni dell’io, aveva piena conoscenza delle sue azioni, tanto da rendersi conto di dover prendere dei provvedimenti in seguito all’evento delittuoso. In altri termini, i disturbi di natura psichiatrica presenti nella storia clinica dell’imputato non sono tali da poter raggiungere quella soglia di malattia medico- legale sufficiente per dimostrare l’assoluta o parziale incapacità di intendere e di volere al momento del delitto che deve inquadrarsi nella tipologia degli omicidi a sfondo passionale”.