PAOLA (Cs) – Assolve l’imputato dal delitto ad esso ascritto per non aver commesso il fatto. Così si è pronunciato il Giudice Monocratico del Tribunale di Paola al termine del processo che vedeva imputato T.T., 22 anni, all’epoca dei fatti detenuto in espiazione di pena presso la Casa Circondariale di Paola, difeso da Carmine Curatolo ed Emilio Enzo Quintieri del Foro di Paola.
La Procura della Repubblica di Paola, concluse le indagini preliminari, aveva citato direttamente a giudizio il giovane imputato ritenendolo responsabile del reato previsto dall’Art. 391 ter del codice penale, punito con la pena della reclusione da 1 a 4 anni, perchè, in quanto detenuto, indebitamente riceveva all’interno della Casa Circondariale di Paola, un apparecchio telefonico marca Zte di colore blu privo di codice Imei, idoneo ad effettuare comunicazioni.
Fatto accertato in Paola, il 1 dicembre 2021, all’esito di una perquisizione eseguita dal personale del Reparto di Polizia Penitenziaria in una delle camere detentive poste nella quinta sezione dell’Istituto.
La difesa, già dopo la conclusione delle indagini preliminari, con una memoria scritta aveva chiesto al Pubblico Ministero, nonostante le dichiarazioni indizianti rese dal detenuto al personale di Polizia Penitenziaria nella immediatezza dei fatti, di richiedere l’archiviazione del Procedimento Penale poiché non vi erano elementi sufficienti per sostenere proficuamente l’accusa in giudizio posto che il cellulare rinvenuto e posto in sequestro era privo di sim card, cavo di alimentazione e carica batteria e, quindi, inutilizzabile per effettuare telefonate o messaggi.
Inoltre nessuno aveva mai visto il detenuto utilizzare il cellulare né furono effettuati accertamenti tecnici per accertare se, effettivamente, tale dispositivo elettronico fosse stato utilizzato per telefonate o messaggi con l’esterno e se fosse comunque realmente funzionante ed idoneo ad effettuare comunicazioni. Tra l’altro, la camera in cui venne rinvenuto e sequestrato il telefonino, era occupata anche da altro detenuto e non solo dalla persona tratta a giudizio.
Aperta l’istruttoria dibattimentale è stato sentito un Assistente Capo della Polizia Penitenziaria, citato dal Pubblico Ministero, il quale ha riferito che nell’ambito di una perquisizione svolta con i suoi colleghi nella quinta sezione detentiva della Casa Circondariale di Paola aveva rinvenuto uno smartphone blu, privo di scheda sim card, cavo di alimentazione, carica batteria e codice imei, abilmente occultato all’interno di una fessura della bilancetta in dotazione posta nel locale adibito a servizio igienico e che sentito a spontanee dichiarazioni il detenuto T.T. aveva loro riferito di essere il proprietario di tale dispositivo.
La difesa, su quest’ultimo aspetto, ha immediatamente proposto opposizione (accolta dal Giudice) poiché il teste non poteva riferire quanto raccontato dal detenuto e che le dichiarazioni indizianti non potevano essere utilizzate ai fini probatori in sede dibattimentale perché assunte dalla Polizia Penitenziaria in violazione delle norme di garanzia previste dal codice di procedura penale.
Durante il controesame, alla specifica domanda posta dal difensore circa gli elementi sulla base dei quali avevano desunto che il dispositivo elettronico rinvenuto in quella camera detentiva fosse di proprietà dell’imputato o, comunque, a lui riconducibile, l’Assistente Capo della Polizia Penitenziaria, non ha potuto far altro che rispondere in maniera negativa, ripetendo che glielo aveva riferito l’interessato (circostanza, come detto, non utilizzabile). Il Pubblico Ministero rinunciava agli altri residui testi e la difesa faceva altrettanto chiedendo di discutere la causa.
La pubblica accusa, ritenendo insufficiente quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale e non utilizzabili le dichiarazioni dell’imputato, ha chiesto l’assoluzione del predetto perché il fatto non sussiste.
La difesa si è associata alla richiesta del Pm, evidenziando che, in ogni caso, non era emerso alcun elemento che potesse dimostrare, con certezza, che l’apparecchio telefonico fosse riconducibile all’imputato atteso che nella camera vi era anche altro detenuto e che detto apparecchio fosse idoneo ad effettuare le comunicazioni poiché privo degli elementi essenziali per poter funzionare.
Il Giudice, al termine della camera di consiglio, pronunciava sentenza assolutoria nei confronti dell’imputato “per non aver commesso il fatto” e non “perché il fatto non sussiste” come invece avevano concordemente richiesto il Pm e la difesa. Le motivazioni saranno rese note entro trenta giorni.