CATANZARO – La FP CGIL della Calabria sostiene con forza lo sciopero nazionale dei lavoratori e lavoratrici edili e metalmeccanici nelle ultime due ore di turno indetto il 21 febbraio da Cgil FILLEA e FENEAL Uil perché non è più tollerabile piangere caduti sul lavoro, di cui è responsabile un sistema deviato di valorizzazione del profitto a scapito della vita umana.
Per garantire Salute e Sicurezza, per come evidenziato da Graziella Secreti, coordinatrice Fp Cgil Calabria Ispettorato del Lavoro e da Alessandra Baldari, segretaria generale Fp Cgil Calabria «servono più risorse, più controlli e assunzioni che rafforzino e rendano davvero efficiente l’intero sistema pubblico di vigilanza sul quale invece incidono politiche di risparmio che ne indeboliscono la capacità di intervento.
Le morti sul lavoro «non sono disgrazie, ma sono la grave responsabilità di un sistema lavoro che spinge le imprese a competere sull’abbattimento dei costi e sul continuo ribasso e non sulla qualità dell’opera e la sicurezza sul lavoro».
Soprattutto nei grandi cantieri, «l’esigenza di massimizzare i profitti è perseguita con lo spezzettamento dell’opera in una miriade di subappalti che consentono l’ingresso di aziende che, per avere margini di profitto, annullano i costi sulla sicurezza e spesso si avvalgono di personale non assunto, non formato, non addestrato o inquadrato in modo difforme da quanto previsto dai CCNL».
Non c’è «un’adeguata valutazione della idoneità tecnico professionale dell’azienda affidataria, cui ci si rivolge non perché specializza ma perché economica, a basso costo e quindi a grave rischio infortunio. La mancata formazione, il ritmo incalzante degli orari di lavoro, il mancato rispetto dei contratti, i dispositivi di protezione inadeguati sono ciò su cui si risparmia per essere competitivi».
Servirebbe invece «un sistema di competizione sulla qualità, con forme di incentivazione e premialità delle aziende che rispettano gli standard di sicurezza e la radicale espulsione dal mercato di quelle che invece ricorrono all’elusione della normativa in materia. E quindi serve una politica che metta al centro la qualità dell’opera e del lavoro e che investa risorse economiche su formazione pubblica, ammodernamento dei siti produttivi a rischio, sicurezza sul lavoro e sistema di vigilanza efficienti e in grado di incidere realmente sulla prevenzione degli infortuni».
E invece sulla vigilanza non si investe. «Le difficoltà in cui operano gli organi di vigilanza sono l’esatta misura dello scarso valore che si dà al lavoro sicuro in Italia. Gli ispettori del lavoro hanno dovuto scioperare per ben tre volte per vedersi riconosciuta la perequazione retributiva; nonostante i concorsi attivati dal precedente Ministro del lavoro Orlando, soffrono ancora di gravissime carenze di organico pari ad almeno 1000 unità, date le alte rinunce per inadeguatezza delle retribuzioni».
Circa 4000 ispettori «devono controllare oltre 4 milioni di imprese, evadere denunce, deleghe di indagine ed espletare incombenze interne, L’Ispettorato nazionale del lavoro è nato con una riforma a costo zero, su cui non si sono mai investiti fondi per dotarlo di risorse e strumenti adeguati al compito; mancano vigilanze coordinate con gli altri enti, banche dati accessibili che consentano di intercettare subito i siti a rischio; manca formazione, risorse, mezzi investigativi e forme di controllo preventivo che rendano effettivamente incisiva la vigilanza laddove si annida il rischio».
Manca «la cultura della prevenzione e della legalità del lavoro. La pluralità di contratti atipici e precari, il lavoro povero, la contrattazione pirata sono elementi che hanno destrutturato la dignità del lavoro e che hanno indebolito anche le condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro. Il numero degli infortuni, dati al netto delle malattie professionali e degli incidenti non conteggiati nelle statistiche, sono allarmanti in tutta Italia e ancor più in Calabria, dove la condizione di precarietà lavorativa è ancora più intensa e la mancanza dei presidi di legalità determinano impatti devastanti sulle fragilità di questo territorio, già devastato nei suoli servizi pubblici essenziali».
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