CATANZARO – Quattordici condanne e quattro assoluzioni. È arrivata la sentenza d’appello a Catanzaro del processo “Petrolmafie-Dedalo” contro le 21 persone che avevano sostenuto il rito abbreviato.
Ha retto anche in secondo grado il castello accusatorio imbastito dalla Dda di Catanzaro nei confronti della quasi totalità degli imputati nel processo istruito contro presunti illeciti perpetrati dalle cosche del Vibonese e loro sodali nel settore del commercio di idrocarburi.
Le accuse, a vario titolo, sono associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, corruzione, evasione delle imposte e delle accise anche mediante emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, scambio elettorale politico-mafioso e turbata libertà degli incanti. Tra i condannati c’è Pasquale Gallone, braccio destro del boss Luigi Mancuso.
L’inchiesta, il cui blitz scattò l’8 aprile 2021, aveva portato a smantellare un presunto consorzio tra organizzazioni criminali teso all’oligopolio nel settore carburanti.
Il progetto di espansione commerciale avrebbe avuto tra i protagonisti i Mancuso di Limbadi – nelle figure, sempre secondo gli investigatori, di Luigi e Silvana Mancuso – che avrebbero avuto nelle società dei fratelli D’Amico, Giuseppe e Antonio, di Piscopio, il terminale operativo. Nel particolare il clan Mancuso attraverso questi ultimi avrebbero anche puntato al mercato kazako dei carburanti.
Nelle scorse settimane sono state depositate le motivazioni del primo grado dell’ordinario conclusosi con 35 condanne e 28 assoluzioni.