CATANZARO – I cinque sindaci delle Città capoluogo di provincia della Calabria – Nicola Fiorita (Catanzaro), Franz Caruso (Cosenza), Giuseppe Falcomatà (Reggio Calabria), Vincenzo Voce (Crotone), Enzo Romeo (Vibo Valentia) – promotori dell’appello “Unasolaitalia” che ha raccolto le adesioni di 130 primi cittadini, porteranno all’assemblea Anci di Lorica le ragioni della forte richiesta, indirizzata al presidente Occhiuto e al Consiglio regionale, di adottare due delibere per bloccare la legge “spacca Italia”.
La prima per chiedere il referendum abrogativo seguendo l’esempio di Campania, Toscana, Emilia Romagna, Puglia e Sardegna; la seconda per impugnare davanti alla Consulta la “Calderoli”, non nella sua interezza, ma su specifici punti.
“La nostra sia un’unica voce, non c’è spazio per mediazioni o fantomatici osservatori sull’autonomia. O si è a favore, o si è contro. Anci dimostri un volto unitario e autonomo.
In caso contrario, andremo avanti da soli“.
I cinque sindaci hanno anticipato le risultanze di uno studio preliminare compiuto, su sollecitazione dei sindaci, da alcuni autorevoli giuristi. Ci sono almeno cinque possibili argomenti di impugnazione che possono essere individuati dall’Assemblea Regionale, con buone possibilità di successo.
Primo punto
La legge n. 86 del 2024 disciplina la procedura per la “specializzazione” delle Regioni a Statuto ordinario che vogliano acquisire ulteriori forme di autonomia, ai sensi dell’art. 116, c. 3, Cost.
Tuttavia, tale disposizione stabilisce che l’attribuzione di tale autonomia debba avvenire nel rispetto dei principi di cui all’art. 119 Cost., sicché la legge in questione, oltre a non essere espressamente richiesta dall’art. 116, risulta con essa in contrasto in quanto la procedura ivi prevista, oltre a prevedere la previa determinazione dei Lep, conduce all’attribuzione di tali forme ulteriori di autonomia senza che sia stato previamente ultimato il processo di realizzazione dell’autonomia finanziaria regionale previsto dall’art. 119 della Carta.
Si potrebbe decidere di chiedere l’annullamento di tutta la legge oppure, come sembra preferibile, una decisione manipolativa con la quale la Corte dichiari illegittimo l’art. 11 della legge (in particolare, il c. 1), recante disposizioni transitorie e finali, nella parte in cui non condiziona il raggiungimento dell’intesa definitiva in relazione agli atti di iniziativa delle Regioni, già presentati al Governo o presentati in futuro, alla previa attuazione completa dell’art. 119 Cost.
Secondo punto
Ai fini dell’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP), l’art. 3, c. 1, della legge delega il Governo ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi, senza indicare direttamente i principi e criteri direttivi della delega, ma individuandoli per relationem, mediante un rinvio a quanto stabilito dall’articolo 1, commi da 791 a 801-bis, della legge 29 dicembre 2022, n. 197.
La Corte costituzionale ha più volte affermato che, spettando la titolarità e l’esercizio stabile della funzione legislativa al Parlamento, sono costituzionalmente illegittime leggi delega prive di principi e criteri direttivi sufficientemente precisi: c.d. deleghe in bianco (106/1962).
Nè può ovviare a tale mancanza il richiamo dell’art. 3 alla legge del 2022, visto che per la Corte costituzionale una determinazione di principi e criteri direttivi risulta praticabile per relationem, con riferimento ad altri atti normativi, se ed in quanto sufficientemente specifici (sentenze nn. 87/1989 e 156/1987), condizione che viene a mancare in questo caso.
Ora, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, le Regioni possono denunciare in sede di giudizio in via d’azione un vizio della legge statale diverso dalla violazione della loro competenza laddove – come in questo caso – il diverso vizio comunque si traduca, seppur indirettamente, in una violazione di tale competenza (c.d. ridondanza).
Terzo punto
La legge prevede la determinazione dei LEP unicamente in relazione a materie che possano essere oggetto di differenziazione e che lo richiedano per propria natura (cfr. elenco art. 3, c. 3).
Tuttavia, tale scelta determina l’effetto illogico e irragionevole per cui risultano prima determinati i LEP sulle materie su cui è possibile la differenziazione per le Regioni che lo richiedano e solo eventualmente dopo per le materie che, a seconda dei casi, sono già adesso oggetto di competenza (concorrente o residuale) di tutte le Regioni a statuto ordinario.
Quarto punto
L’art. 3, c. 7, stabilisce che i LEP, una volta determinati con Decreto legislativo, possano essere periodicamente aggiornati con d.P.C.M. Seppure non può escludersi che in seconda battuta intervenga un atto secondario, la presenza di una riserva relativa di legge nell’art. 117, c. 2, lett. m), Cost., impone che in tale ambito un atto legislativo fissi in modo puntuale i limiti della discrezionalità governativa, che invece, come ricordato, sembrano mancare in questo caso.
Quinto punto
L’art. 11, c. 1, stabilisce che «gli atti di iniziativa delle Regioni già presentati al Governo, di cui sia stato avviato il confronto congiunto tra il Governo e la Regione interessata prima della data di entrata in vigore della presente legge, sono esaminati secondo quanto previsto dalle pertinenti disposizioni della presente legge».
Da tale disposizione non sembra possibile evincere con chiarezza se l’intesa raggiunta in relazione a tali atti debba intendersi provvisoria o definitiva, sicché si evidenzia innanzitutto un vizio di «radicale oscurità» della legge (sent. n. 110/2023).
In subordine, si può chiedere l’annullamento di tale disposizione nella parte in cui consente di ritenere già raggiunta la bozza preliminare di intesa, impedendo dunque al Presidente del Consiglio di circoscrivere la portata del negoziato prima di addivenire alla bozza definitiva, ai sensi di quanto previsto dall’art. 3, c. 2, secondo cui quest’ultimo, «Al fine di tutelare l’unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie (…), anche su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dei Ministri competenti per materia, puo’ limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell’atto di iniziativa».
Si tratta di una valutazione essenziale ai fini di salvaguardare interessi unitari che possono ostare all’attribuzione di ulteriori forme di autonomie in materie particolari, come, ad esempio, l’istruzione, le grandi reti di trasporto, gli aeroporti, la distribuzione nazionale di energia.