REGGIO CALABRIA – «L’obiettivo vero a cui tende purtroppo la riforma della giustizia non è quello di separare formalmente il pubblico ministero dal giudice. Il problema è togliere, al confronto che l’indagato e l’imputato hanno con il pm, la immediata rappresentazione di aver davanti il primo baluardo della giurisdizione. E questo è pericolosissimo soprattutto nel momento in cui non può esistere un sistema in cui il pm non è più parte della giurisdizione».
A dirlo il procuratore facente funzioni di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo partecipando, assieme al giornalista e conduttore di Report Sigfrido Ranucci, ai “Dialoghi con la magistratura”, l’incontro moderato dalla presidente dell’Anm di Reggio Calabria Caterina Asciutto.
«Separare le carriere significa dire al pubblico ministero ‘tu giudice non sei’ e questo è un problema per l’utente del sistema giustizia che incontrerà un giudice molto tempo dopo rispetto a quello che fa ora».
Per Lombardo, dietro “l’utilizzo spesso e volentieri di formule che hanno importanti ricadute giornalistiche, c’è molto altro. Diciamocelo con chiarezza. Andando a verificare con la dovuta attenzione quelli che sono i progetti di riforma, tanto di iniziativa parlamentare, quanto di iniziativa governativa e di iniziativa popolare, come quello portato avanti dalle camere penali, io noto un obiettivo ulteriore».
Andando oltre la separazione delle carriere, «si inquadra quello che sarà il nuovo assetto dei Consigli superiori della magistratura con la modifica dell’attuale percentuale tra laici e togati. Nel momento in cui leggiamo in quei progetti che il rapporto non è più un terzo e due terzi ma è paritario, sostanzialmente per quelle che sono le regole attuali che governano il Csm, significa che la componente togata è tendenzialmente sempre in minoranza. E questo non è un messaggio corretto».
Analizzando i problemi della giustizia, secondo il procuratore di Reggio Calabria, «piuttosto noi viviamo costantemente di fronte ad una instabilità normativa pericolosa, palesemente in contrasto con quelli che sono i principi cardine del nostro sistema costituzionale. Non è immaginando un pm che fa una carriera diversa dal giudice che si arriva a rendere più efficiente il sistema giustizia. Bisognerebbe avere la correttezza di fondo di ragionare su dati specifici».
Il lavoro che si sta facendo in Parlamento «serve ma occorre partire da dati reali. Ho una paura, un timore molto serio: che separare il pm dal giudice aumenterà quello che oggi viene considerato l’enorme potere delle Procure. Il pm non può rischiare di trovarsi in mano un potere che non sia costantemente verificato dal contatto con il suo giudice. Questo è assolutamente indispensabile, è un punto di equilibrio al quale nessuno di noi può rinunciare indipendentemente dal fatto che il pubblico ministero separato possa avere un suo Csm e possa domani diventare sottoposto a tutta una serie di indicazioni che provengono dal potere esecutivo. Il vero rischio che si corre è un riassetto complessivo tra i poteri dello Stato» (ansa).