Mobilitazione della Cgil

ROMA – Si è tenuta questo pomeriggio a Roma la conferenza stampa “NO al ponte sullo Stretto”, promossa da Anpi, Arci, Cgil Messina, Cgil Reggio Calabria, Cgil Calabria, Cgil nazionale, Cgil Sicilia, Greenpeace, Invece del Ponte, Italia Nostra Messina, Legambiente, Libera, Movimento 5 Stelle, No Ponte-Capo Peloro, Partito Democratico, Rete degli studenti medi, Sbilanciamoci, Sinistra Italiana, Titengostretto, Verdi, Udu, Uisp e Wwf.

Di seguito il documento conclusivo dell’iniziativa, in cui si ribadiscono i motivi per i quali il Ponte è ritenuto dai promotori “un’opera inutile, dannosa e costosa”, e si rendono note le prossime tappe della mobilitazione, che porterà a più appuntamenti in Calabria e Sicilia e ad una manifestazione nazionale a Roma.

Si tratta di un progetto «non solo di dubbia utilità, ma che appare sicuramente dannoso. La sua progettazione è lacunosa e obsoleta, basata su un’analisi costi-benefici irrealistica, con costi di realizzazione esponenziali e fuori controllo. Inoltre, comporterebbe gravi danni ambientali, paesaggistici, naturalistici e sociali».

Innumerevoli sono state le “forzature” per costruire un percorso favorevole alla realizzazione del ponte:
❑ È stata annullata la norma per il dibattito pubblico;
❑ È stata annullata la norma europea che obbliga a bandire una nuova gara quando il costo
dell’opera supera il 50% di quello previsto inizialmente;
❑ Non esiste attualmente la relazione economico-finanziaria dell’opera;
❑ I costi dell’opera sono assolutamente sottostimati e non sono stati calcolati gli aumenti
dei costi dei materiali;
❑ È stata annullata la procedura per la redazione del progetto esecutivo, sostituita da una
generica “realizzazione anche per fasi costruttive”, il che comporterà una realizzazione
frammentata;
❑ Tutti i rischi complessivi della mancata realizzazione sono a carico dello Stato, poiché è
stato, di fatto, cancellato il rischio d’impresa.

In aggiunta, non sono state fornite risposte certe riguardo la complessità della gestione dei 17 cantieri previsti nell’area dello Stretto e i forti volumi di traffico generati che metteranno in crisi, per anni, le città di Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni. Inoltre, si aggiunge la questione critica dell’approvvigionamento idrico, già in crisi. I temi degli espropri legati alla costruzione del Ponte hanno assunto una centralità crescente, coinvolgendo quasi 3.000 imprese e 450 nuclei familiari, costretti a lasciare le proprie case senza certezze sulla realizzazione dell’opera. Questo non fa che aggravare il danno economico e sociale.

Le risposte fornite alle 239 osservazioni presentate dal Ministero dell’Ambiente sono generiche ed evanescenti, con particolare riferimento ai pericoli sismici e alla presenza delle faglie attive in Calabria, su cui poggerebbe uno dei piloni del ponte. Appare, al contrario, molto chiaro il senso del recente intervento del Presidente Carlo Doglioni, il quale, chiarendo definitivamente l’assoluta mancanza di un atto ufficiale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, riconduce i pareri contenuti nel dossier a “lavori espressi a titolo meramente personale da parte di due ricercatori dello stesso INVG”.

Un chiarimento, quest’ultimo, sul quale non solo il Cipess, ma l’insieme degli organismi di controllo, politico, amministrativo, contabile e giurisdizionale dovrebbero assumere come elemento centrale di valutazione insieme al tema, altrettanto grave, della deroga, mai decisa, all’inedificabilità prevista dalla protezione civile “sulle opere su faglie sismiche”.

Le previsioni occupazionali presentate dagli organi di propaganda del Ministero delle Infrastrutture si basano su dati fantasiosi, mentre è certa la cancellazione di migliaia di posti di lavoro previsti dal progetto stesso, a causa della cessazione dei servizi di trasporto via mare. Attualmente, circa 2.500 lavoratori sono impiegati nei traghetti e negli aliscafi, privati e pubblici.

Riteniamo, pertanto, un grave errore considerare il Ponte sullo Stretto come elemento strategico per la modernizzazione infrastrutturale del Mezzogiorno. Sicilia e Calabria hanno bisogno di reali reti di trasporto merci e passeggeri, come una vera infrastruttura ferroviaria ad alta velocità e alta capacità, connessioni trasversali Est-Ovest e di un sistema portuale specializzato, con reti ferroviarie e stradali meglio collegate ed una più efficace digitalizzazione ed Ict.

È urgente affrontare il dissesto idrogeologico, oggetto di nuove emergenze, come dimostrano le recenti alluvioni, e migliorare la rete di approvvigionamento e distribuzione dell’acqua, messa a dura prova dalla siccità che ha colpito due milioni di Siciliani.

Riteniamo prioritari i seguenti interventi:
❑ L’alta velocità Salerno-Reggio Calabria, che rischia di fermarsi a Romagnano per
mancanza di risorse;
❑ L’elettrificazione e la messa in sicurezza della ferrovia Jonica Sibari-Reggio Calabria;
❑ Il miglioramento della mobilità dell’area centrale dello Stretto;
❑ Il completamento della Messina-Catania-Palermo e il raddoppio della Messina-Catania-
Siracusa, i cui lavori procedono a rilento;
❑ La messa in sicurezza del sistema autostradale Siciliano e Calabrese, compresa la
realizzazione dell’E90 (SS 106), nota come “strada della morte”.
È essenziale avviare una nuova stagione di programmazione per le due regioni e per il Mezzogiorno, le
cui potenzialità di sviluppo sono frenate dalle politiche negative del Governo Nazionale e regionale:
❑ La centralizzazione delle Zes;
❑ Lo smantellamento del Reddito di Cittadinanza;
❑ La revisione del Pnrr che de-finanzia molte opere strategiche;
❑ Il blocco del Fondo di Sviluppo e Coesione, sottraendo 2.100 milioni per le due regioni
coinvolte;
❑ Lo svuotamento del Fondo perequativo infrastrutturale.
Una logica neo-centralistica che annulla il ruolo delle autonomie e soprattutto dei Comuni.

Questi atti politici sono regressivi e, lungi dal ridurre gli squilibri territoriali, finiscono per acuirli, accentuandone i ritardi, colpendo le popolazioni e indebolendo il sistema produttivo, che non è adeguatamente supportato. È, invece, necessario avviare un intervento dello Stato attraverso le sue partecipate pubbliche, per disegnare un nuovo piano di sviluppo industriale e costruire una programmazione di interventi mirati e coerenti. Serve un piano industriale di sviluppo per le due regioni del Mezzogiorno che incentivi la produzione di energia, prevedendo investimenti nelle rinnovabili e promuovendo le comunità energetiche rinnovabili.

Deve essere attuata una politica dei trasporti che privilegi il trasporto pubblico, esaltando il trasporto pubblico locale e regionale, e favorendo il trasferimento dal trasporto su gomma a quello su ferro e marittimo per le lunghe percorrenze. È necessaria una nuova attenzione all’economia circolare e alla gestione dei rifiuti, con un approccio volto a ridurre al minimo lo spreco di risorse e l’impatto ambientale. La transizione ambientale e la filiera agroalimentare costituiscono un aspetto di grande rilevanza nel Mezzogiorno, e in particolare in Sicilia e Calabria, supportate da un sistema portuale imponente per la commercializzazione.

È fondamentale intervenire sulle bonifiche dei siti contaminati, aree spesso caratterizzate dalla presenza di discariche che costituiscono una vera e propria emergenza ambientale e sanitaria per i lavoratori e le comunità interessate. Il Mezzogiorno può e deve dare un contributo fondamentale allo sviluppo delle energie rinnovabili; per questo motivo, è indispensabile sviluppare tutte le connessioni di rete per collegarlo “fisicamente” al resto del Paese. Queste rappresentano alternative alle ulteriori reti fossili, che non garantirebbero un futuro di sviluppo al territorio.

Il Mezzogiorno non può ridursi a una mera questione di infrastrutture, ma è indubbio che, per dare qualità a una nuova stagione di programmazione, sia necessario rispondere al grande tema della mobilità e della comunicazione, sia all’interno dell’area meridionale, che per il collegamento con i grandi attraversamenti all’interno dell’Unione Europea. Questa è una condizione necessaria affinché il Mezzogiorno possa incrociare la domanda nel campo delle grandi reti logistiche globali. È in questo contesto che vanno inserite le politiche infrastrutturali nelle due regioni, oggi fanalino di coda per le pessime condizioni in cui versano le linee ferroviarie e quelle stradali.

Le ingenti risorse finanziarie disponibili, tra Pnrr, Pnc, fondi strutturali europei e fondi nazionali, devono essere spese nei tempi dovuti – invece procedono con grande ritardo – e in modo corretto e trasparente, sottraendole al pericolo di una gestione clientelare che possa aprire la strada a fenomeni corruttivi e alla penetrazione delle mafie nel sistema degli appalti pubblici. Ed è proprio la mancanza di una vera e propria strategia per il Mezzogiorno e per le infrastrutture di cui necessita veramente il Paese uno dei punti più critici del disegno di legge di Stabilità presentato dal Governo. Una legge di stabilità profondamente sbagliata, che non affronta il tema dei divari territoriali e dell’impoverimento delle lavoratrici, dei lavoratori, dei pensionati e delle pensionate e che non si fa carico dello stato di profonda crisi nel quale versa il nostro Paese.

Una legge di stabilità che va assolutamente contrastata, innanzitutto unendo questa nostra mobilitazione a quella di carattere generale. È indispensabile, quindi, continuare ad esercitare un’attenta supervisione sul progetto “Ponte” promuovendo e rafforzando il necessario controllo sociale. Ma è altrettanto necessario continuare la mobilitazione delle associazioni, delle realtà territoriali, della società civile siciliana e calabrese, rafforzando ed implementando le iniziative territoriali e preparando, già da ora, una grande manifestazione nazionale a Roma di fronte al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

stefaniasapienza@calabriainchieste.it