PAOLA (Cs) – L’affermazione della leadership per la gestione degli affari illeciti nel paolano, con particolare riferimento alle estorsioni, stava portando a una guerra tra bande criminali, rispettivamente capeggiate, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, agli atti del recente blitz contro la cosca Calabria-Tundis, da Peppe La Rosa e Salvatore Caruso, considerati elementi di spicco della mala locale. Il primo, in qualità di rappresentante della storica famiglia La Rosa, il secondo considerato vicino ai Serpa.

Sempre agli atti di indagine, i Pubblici ministeri antimafia scrivono: “…insorge una problematica contrapposizione tra La Rosa Giuseppe e Caruso Salvatore, che finisce per chiamare in causa la formazione diretta da Pietro Calabria, che esercita poteri diplomatici tra i due contendenti”.

“Più in particolare, il disordine sul riconoscimento di una egemonia univoca su Paola genera incertezza su chi sia l’effettivo “dominatore” criminale del territorio e, soprattutto, su chi sia legittimato a imporre il pizzo e, conseguentemente, sul dovere o meno di dividere i proventi con altri centri di interesse criminale”.

“La contesa, più esattamente, ha riguardato la legittimazione, fra i citati La Rosa e Caruso, a imporre il pizzo a imprese non meglio identificate, sul ruolo di Paola ed è stata influenzata da esponenti della criminalità organizzata di Cosenza.

La crescente pressione derivante dall’attrito Caruso-La Rosa chiama in causa l’intervento di Roberto Porcaro e spinge Pietro Calabria, inizialmente cauto e riluttante, a intromettersi in una questione in cui “non c’entrava né dalla porta, né dalla finestra” (parole dei diretti interessati) a confrontarsi con Porcaro e, infine, a prendere posizione a favore di Caruso, inviandogli tramite Andrea Tundis l’imbasciata di mantenere ferma la sua posizione nei confronti dell’opponente.

In una intercettazione, la Dda raccoglie il commento Pietro Calabria e Andrea Tundis sulla intrusione dei cosentini nel territorio paolano per la controversia sorta tra La Rosa e Caruso e il connesso tentativo di ridisegnare gli equilibri criminali sul suolo di Paola.

Porcaro avrebbe poi convocato a Cosenza Salvatore Caruso, il quale, però, avrebbe rifiutato l’incontro, disconoscendo sdegnosamente l’autorità del mediatore e del suo gruppo sul suolo di Paola.

La posizione di Pietro Calabria e del suo vice Andrea Tundis al riguardo si delinea sin da subito: i due convergono che la prima cosa da mettere in chiaro con i contendenti e gli esterni di Cosenza è che il clan Calabria non nutre alcun interesse per le attività criminali di Paola, poiché la sua “giurisdizione” si arresta a San Lucido.

In secondo luogo, Calabria dichiara che fa bene Caruso a non tollerare le ingerenze sul suo territorio e a rivendicare il diritto di guadagnare dai proventi delle attività illecite, anche al fine di far fronte al pagamento delle spese necessarie per il sostentamento dei familiari dei detenuti ma, d’altro canto, la soluzione migliore è che lui e Peppe La Rosa si spartiscano il territorio pacificamente.

La soluzione viene rimessa a Roberto Porcaro che decide per l’accordo pacifico.

Agli atti si parla anche della influenza di Michele Di Puppo, capo della formazione criminale egemone in Rende. 

In tale contesto si registra un altro dissidio tra un elemento della famiglia Serpa e due “cani sciolti”, due fratelli che avrebbero mancato di rispetto al presunto “uomo d’onore” che, secondo quanto appreso dalla Dda, sarebbe stato picchiato dai germani. La vittima dell’aggressione, di contro, avrebbe riunito esponenti della famiglia Serpa per ottenere l’autorizzazione a punire i due, verosimilmente consumando un duplice omicidio o due ferimenti, senza però ottenere alcun via libera.