AMANTEA (Cs) – Il docente ed ex consigliere comunale, Alfonso Lorelli, ha esternato una riflessione sulla fusione tra Comuni in Calabria, ribadendo alcuni concetti molto importanti.
«Un vento da regime autoritario spira anche sulla più importante istituzione politica calabrese – tuona Lorelli – il Consiglio regionale, il quale, considerando troppo democratica la normativa vigente in materia di accorpamento tra Comuni, si appresta a cambiarla eliminando dalla procedura la preliminare espressione di volontà delle popolazioni interessate. Già nell’iter legislativo che riguarda la ipotizzata nascita di un nuovo Comune, da chiamarsi Temesa, che dovrebbe derivare dall’accorpamento della frazione Campora di Amantea al Comune di Serra d’Aiello, il Consiglio regionale e la sua Prima Commissione hanno messo in atto una procedura contra legem ed in violazione della Costituzione e della giurisprudenza costituzionale. Infatti, decidendo d’imperio, hanno escluso da ogni preventiva consultazione e certificazione il Comune di Amantea; non hanno accertato le condizioni di fatto esistenti accettando come veritiere quelle esposte da un Comitato scissionista; non hanno considerato il fatto che la popolazione di Amantea, per effetto dello scorporo della frazione, scenderebbe al di sotto dei 10.000 abitanti, condizione espressamente vietata dalla legge dello Stato; hanno deciso di escludere dall’eventuale referendum consultivo l’intera popolazione del Comune riservandolo a quella della sola frazione e del piccolo Comune accorpante. Sulla legittimità delle decisioni assunte dal Consiglio regionale si è già pronunciato negativamente il Consiglio di Stato, adito dal Comune di Amantea, invitando il Tar Calabria, che deciderà nel merito il prossimo giugno, a valutare attentamente gli elementi di fatto, la carenza, l’inadeguatezza e l’irragionevolezza delle motivazioni nonché tutte le norme costituzionali ed ordinarie dirimenti».
Ora, forsanche «alla luce delle decisioni errate assunte sulla vicenda Campora-Amantea e dei rilievi fatti dal C.d.S., lo stesso Consiglio regionale, verificata la contrarietà dei Consigli Comunali alla proposta di unificazione dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero, anziché accettare la volontà popolare che in democrazia è sempre sovrana (art.1 Cost.), volendo evitare di incorrere negli stessi errori commessi in precedenza, con un atto d’imperio tipico dei regimi autoritari, si appresta a modificare la legge regionale n.15/2008. Poiché essa stabilisce (art.5) che ogni procedimento di fusione tra Comuni deve essere preceduto dalle delibere comunali che lo chiedono e l’approvano e senza le quali, perciò, la Regione non può procedere con autonoma ed indipendente iniziativa legislativa, il Consiglio regionale della Calabria intende cancellare quella norma per sostituirla con un’altra che toglie ai Comuni la sovranità ed autonomia a decidere sul proprio futuro, lasciando come obbligatorio solo il referendum consultivo da svolgersi tra tutte le popolazioni interessate ma ex-post, cioè dopo l’approvazione da parte del Consiglio regionale della delibera di Commissione con cui si avvia il procedimento legislativo e si indice il referendum consultivo. Tra l’altro, poiché il risultato di un referendum consultivo può anche essere disatteso dal Consiglio regionale e poiché le popolazioni dei singoli Comuni che dovrebbero unirsi non verrebbero consultati singolarmente, ne deriverebbe che la “cancellazione” di un Comune potrebbe avvenire contro la volontà della sua popolazione, proprio come avvenne durante il ventennio fascista quando si procedeva alla soppressione di Comuni accorpandoli ad altri limitrofi con un semplice Decreto ministeriale. Ma con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana quei Comuni soppressi durante il ventennio sono stati ricostituiti con legge n.71 del 1953, proprio perché quelle soppressioni erano atti d’imperio e violavano il principio della sovranità popolare di cui all’art.1 della Carta del 1948».
In conclusione: «Il principio assoluto ed inviolabile della sovranità popolare è ripreso anche nel novellato art. 133 della Costituzione che nel secondo comma recita “La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni”. Qui viene riaffermato il principio che l’azione legislativa della Regione deve essere preceduta, non seguita, dalla espressione di volontà delle popolazioni interessate; la stessa formulazione letterale della norma non lascia dubbi; né questa espressione di volontà si può esaurire nel referendum consultivo da svolgersi “a posteriori”, cioè dopo l’avvio dell’iter legislativo, visto che il suo risultato potrebbe non essere preso in considerazione dallo stesso legislatore. Tutte le leggi in vigore, correttamente interpretate ed applicate, hanno finora salvaguardato la sovranità decisionale delle popolazioni interessate alla fusione o modifica territoriale dei Comuni, con la sola eccezione, tutta e solo calabrese, di Spezzano Piccolo costretto a far parte di Casali del Manco contro la volontà della sua popolazione. La strada intrapresa dal Consiglio regionale della Calabria invece porta alla negazione del principio fondante della nostra democrazia, la sovranità popolare, e del conseguente diritto assoluto garantito a tutti i cittadini; solo una cultura reazionaria ed una politica di regime autoritario possono pensare ed agire in una così aperta violazione della Carta Costituzionale sulla quale dovrebbe essere chiamata a pronunciarsi l’Alta Corte»