AMANTEA (Cs) – Sull’emergenza cinghiali in corso in tutta la provincia di Cosenza, che sta tenendo con il fiato sospeso agricoltori e animalisti, è intervenuto l’ex consigliere comunale e docente Alfonso Lorelli.
«Mentre gli agricoltori continuano a subire pesanti danni a causa della diffusione incontrollata dei cinghiali, molti signorinotti e signorine, animalisti da salotto, impediscono con le loro prese di posizione che contro questa invasione di animali selvaggi venga condotta una vera e propria campagna di sterminio in tutte le aree coltivate della Calabria. Ogni tanto si fanno proclami che, come le grida manzoniane, finiscono nel nulla mentre questi porci selvatici continuano a moltiplicarsi e a moltiplicare i loro danni; recentemente pare abbiano trasmesso la tubercolosi ad un allevamento di maiali. Anche nelle campagne di Amantea questi porci selvatici continuano a causare danni alle coltivazioni delle piccole aziende agricole che sopravvivono stentatamente ma le proteste dei contadini, come quelle di tutti gli agricoltori calabresi, cadono nel nulla».
Recentemente, proprio ad Amantea è accaduto l’assurdo: «un cinghialotto avvistato dentro il centro storico, mentre veniva inseguito da alcuni abitanti per allontanarlo finiva incastrato in una rete metallica; allertati telefonicamente intervenivano due vigili urbani che hanno cercato di estrarlo producendo all’animale qualche escoriazione. Qualche animalista da salotto, vedendo su internet le immagini dell’accaduto, provvedeva a denunciare i due vigili per maltrattamento di animali. Fatto ridicolo che però indica come sul problema dell’invasione dei cinghiali nelle nostre campagne prevale l’opinione di chi vuole proteggere i cinghiali e non i tanti agricoltori continuamente danneggiati dalla presenza massiccia di questi animali».
E, ancora: «Anche nelle istituzioni, Comuni, Province, Regione, la posizione degli animalisti prevale su quella degli agricoltori danneggiati. La Regione, nel regolamentare la caccia al cinghiale riservata ai “selettori” cioè a coloro che, dopo aver sostenuto un corso specifico, sanno come, quando, dove e chi abbattere, ha poi imposto il rispetto di alcuni atti comportamentali che di fatto disincentivano gli stessi selettori dall’intervenire. Infatti, dopo l’abbattimento dell’animale, il selettore dovrebbe portare un organo estratto dalle viscere al veterinario del SSN per la verifica di eventuali malattie, poi dovrebbe provvedere ad interrare l’animale abbattuto, il tutto senza alcun ristoro economico».
Tutte queste procedure di salvaguardia «dissuadono dall’abbattimento dell’animale che può continuare a proliferarsi dal momento che ogni anno una scrofa dà alla luce non meno di otto-dieci cinghialetti. Mentre i contadini continuano a subire danni ed a restare soli ed indifesi, mentre i cinghiali invadono le città alla ricerca di cibo, mentre quelli ammalati diffondono le loro malattie anche agli allevamenti di maiali, gli animalisti da salotto continuano ad averla vinta. La sola decisione drastica, necessaria e ragionevole sarebbe quella di dare a tutti i contadini il permesso di uccidere i cinghiali che invadono le loro terre coltivate, a prescindere dal possesso o meno del permesso di caccia che, per il suo costo molti contadini non hanno; per avere il diritto ad ucciderli dovrebbe bastare il possesso dichiarato di un fucile da caccia. Ogni altro provvedimento produce l’effetto che producevano le grida contro i bravi di manzoniana memoria».
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