PAOLA (Cs) – Una circense di 24 anni, Dayana Martini, legata al circo Orfei, è stata condanna dal Tribunale penale di Paola per omicidio colposo e lesioni personali stradali gravi a un anno e due mesi di reclusione con applicazione delle generiche e diminuente del rito abbreviato.
E’ stata altresì condannata alla sospensione della patente per due anni e al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile con provvisionale di 30.000 euro, nonché al pagamento delle spese di rappresentanza della parte civile liquidate in 3.600 euro
L’imputata, come accertato in primo grado, il 28 luglio del 2021 avrebbe cagionato un incidente mortale con feriti, verificatosi sulla strada statale 18 nel territorio di San Lucido.
Si trovava di passaggio, quel giorno, Dayana. Era alla guida di una Bmw Serie 1 e correva troppo, secondo i tecnici. E’ uscita di strada e, dopo aver invaso la corsia del senso opposto di marcia, impattava contro una Nissan X-Trail, guidata da Francesco Caputo che viaggiava assieme ad altre due persone. Un terribile impatto frontale diagonale da sinistra, centrato tra due autoveicoli in marcia.
Le cause dell’urto – hanno accertato i consulenti tecnici – “sono dovute alla velocità non rispettata e perdita di controllo del veicolo guidato dalla circense”.
La parte civile era patrocinata dall’avvocato Emilio Perfetti del Foro di Paola, mentre la circense era difesa dall’avvocato Gianluca Marino del foro di Crotone.
L’imputata in aula si è così espressa: «Sì, io stavo… cioè, guidavo, non mi sono proprio resa conto di niente, quindi non so se ho, appunto, avuto una sonnolenza e tutto, perché io il giorno prima avevo fatto il vaccino, non mi ero… non so se ho avuto un fattore proprio appunto di questa cosa del vaccino che mi ha reso dopo, non lo so… cioè, io non ricordo».
L’avvocato Emilio Perfetti, dal canto suo, ha così concluso la sua discussione: «… la sofferenza di chi rimane, di chi vive la mancanza di una persona, quantomeno nella sua dimensione penalistica, non è inversamente proporzionale all’età anagrafica dei familiari o a quella del colpevole, come è sembrato di percepire nel corso del procedimento, ma è una afflizione interiore devastante a qualsiasi età e che va necessariamente valorizzata come indice per stabilire la gravità del reato, unitamente all’assenza di qualsiasi resipiscenza da parte dell’imputata; perché non basta dire: “mi è caduto il mondo addosso” (lo ha dichiarato l’imputata) per dimostrare un vero ravvedimento quando ci sono state più occasioni di guardare negli occhi i familiari di Francesco Caputo e dire loro semplicemente: “mi dispiace”….»