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Una storia «brutta e vergognosa» che riguarda l’Ospedale di Paola, denuncia al Garante per la Salute

L'avvocato Ennio Abonante: «Costretto a denunziate i fatti all’Autorità giudiziaria, in quanto la condotta dei sanitari di quel reparto non è stata diligente né da un punto di vista morale, né in punto di diritto»

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Una corsia ospedaliera

SAN LUCIDO (Cs) – Riceviamo e pubblichiamo l’esposto denunzia dell’avvocato Ennio Abonante, trasmesso oggi al Garante per la salute Regione Calabria, Anna Maria Stanganelli
, sulla storia «brutta e vergognosa» che riguarda un suo assistito affetto da turbe di natura psichiatrica, dimesso in modo discutibile dall’ospedale di Paola.

I fatti sono oggetto di denuncia all’Autorità giudiziaria e di segnalazione all’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza.

Ecco la missiva:

«In oltre quindici anni di attività di volontariato in favore di soggetti diversamente abili, svantaggiati ed indigenti, mi sono occupato di innumerevoli vicende, tutte brillantemente risolte grazie all’ausilio dei mezzi di comunicazione, ma la storia che sto per raccontare è davvero una delle più brutte e vergognose.

La persona che mi ha contattato è A.V. la quale mi ha fatto presente che il padre, A.M., è stato ricoverato presso il reparto di ortopedia dell’Ospedale di Paola, dove è stato sottoposto ad intervento chirurgico ed il 21 luglio scorso è stato dimesso al domicilio.

Non ci sarebbe nulla di strano se la situazione familiare degli A., di cui è stato edotto il direttore del dipartimento dr Massimo Candela, non fosse tanto particolare quanto grave.

Il paziente, è affetto da turbe di natura psichiatrica ed è sottoposto a terapia farmacologica; è allettato ed è reduce da un intervento chirurgico per la frattura del femore, per cui necessita di assistenza continua.

La signora A. è figlia unica, da tempo è affetta da una grave malattia degenerativa ed è stata riconosciuta portatrice di handicap grave, ex art 3 comma 3 legge 104/1992, nonché invalida civile al 100% con diritto all’accompagnamento, poiché non è in grado di compiere gli atti quotidiani della vita; da molti anni è allettata, ed è accudita dalla madre, la quale, per le intervenute precarie condizioni di salute, non è più in grado di attendere oltre alla figlia, anche al marito.

A ciò si aggiunga che l’abitazione in cui vivono è particolarmente angusta ed è priva dei fondamentali confort.

Il 17.7.2023 sono riuscito a parlare con il dr Candela, al quale ho esposto la situazione familiare e gli ho chiesto di attivare le cd “dimissioni protette” e, cioè, le dimissioni ed il trasferimento presso un centro riabilitativo. Il giorno successivo ho reiterato la mia istanza tramite messaggi whatsapp, ma non ho ricevuto alcun riscontro.

Il 21.7.2023 ho informato dei fatti la direzione sanitaria dello spoke Paola Cetraro ed il Sindaco di San Lucido, ma, purtroppo, nessuno è intervenuto ed il paziente è stato, inopinatamente, dimesso e trasportato a casa.

Ho grande rispetto per la professionalità del dr Candela, ma sono stato costretto a denunziate i fatti all’AG, in quanto la condotta dei sanitari di quel reparto ed in particolare di colui il quale ha sottoscritto le dimissioni, non è stata diligente né da un punto di vista morale, né in punto di diritto.

Non è umano, infatti, dimettere un paziente senza attivare i servizi territoriali e l’assistenza domiciliare, né i servizi sociali, sapendo che è allettato, non si alimenta autonomamente, ed a casa non può eseguire la riabilitazione, né ricevere le cure necessarie, abbandonandolo, di fatto, al proprio destino.

Da un punto di vista giuridico ravviso grande negligenza, imprudenza ed imperizia, visto che il medico dimettente si è assunto una gravissima responsabilità, poiché a conoscenza della situazione familiare del paziente, lo ha esposto ad un grave rischio per la sua incolumità personale, visto che i suoi congiunti sono impossibilitati a prestare le cure, gli viene negato il diritto alla salute, poiché non c’è nessuno che lo possa assistere e, per come esposto, non è stata neppure richiesta l’assistenza domiciliare da parte dell’ASP.

Le condizioni del paziente, per come era facilmente prevedibile, si sono aggravate per cui lunedì 24 luglio e cioè soli due giorni dopo dalle dimissioni, è stato necessario ricorrere nuovamente ai sanitari dell’Ospedale di Paola ed in questo momento A.M. si trova ricoverato nel reparto di medicina, diretto dal dr Eugenio d’Amico, dove gli è stata diagnosticata una infezione urinaria, che ritengo sia sintomatica di una carente igiene personale e piaghe da decubito, verosimilmente attribuibili alle negligenze del reparto di ortopedia.

Per onestà intellettuale devo segnalare la grande professionalità riscontrata nel reparto di medicina, dove A. è stato stabilizzato ed è in via di guarigione e dove ho trovato grande disponibilità nel primario, il quale, cosciente delle difficoltà familiari, mi aggiorna personalmente e quotidianamente sull’evoluzione delle condizioni del paziente, in modo da tenere informata la famiglia.

Entrando in contatto con quel reparto, è saltato subito agli occhi un visibile rinnovamento del personale, oggi composto da una equipè di giovani medici, molto preparati e disponibili, che stanno fornendo un nuovo impulso ed una diversa immagine del reparto rispetto al passato.

Molto sommessamente ritengo, però, che i giovani medici devono essere messi nelle condizioni di potere esprimere al meglio i propri talenti e le proprie capacità, fornendo attrezzature sempre più moderne, così come i pazienti, durante la degenza, devono ricevere il massimo confort, che, oggi manca sia per quanto riguarda gli arredi, ma, soprattutto per i letti, che pur essendo un non addetto ai lavori, mi sembra che non rispettino gli standard di sicurezza previsti dalle norme in materia e, quindi, dovrebbero essere sostituiti con assoluta urgenza.

Con questa mia nota vorrei porre una serie di domande che sono sorte spontanee: il padre della mia assistita, a cui in occasione del secondo ricovero in medicina è stata riscontrata una infezione urinaria, era in condizioni di essere dimesso dal reparto di ortopedia?

Perché A.M., che ha subito la frattura del femore, ha problemi psichici e non è autosufficiente, in quanto allettato, è stato dimesso a domicilio, pur sapendo che a casa non avrebbe potuto eseguire nessuna riabilitazione, né ricevere neppure le minime cure sanitarie e non è stata prevista l’assistenza domiciliare?

Perché il paziente è stato dimesso ed eventualmente, non è stato trasferito in un altro reparto dello stesso nosocomio?

Perché la commissione medica preposta, vista la temporanea indisponibilità di Villa Adelchi, non ha disposto il ricovero presso un’altra struttura, per esempio il Santa Chiara di Paola?

Il mancato trasferimento presso una struttura riabilitativa ovvero la mancata attivazione del servizio domiciliare, ha aggravato le sue condizioni e le sue sofferenze?

Tutte queste eventuali omissioni hanno arrecato sofferenze maggiori di quelle il paziente sta subendo a causa della sua patologia se fosse stato trattenuto in ospedale o ricoverato in un centro riabilitativo?

Concludo questa mia nota, segnalando il disinteresse più assoluto della massima istituzione sanitaria provinciale rispetto ai soggetti più sfortunati, i cosiddetti ultimi; non un cenno di riscontro da parte del Commissario dell’ASP di Cosenza, che ha ricevuto il mio esposto e che bene avrebbe fatto ad avviare una indagine interna, ma non mi risulta abbia adottato alcun provvedimento».