Un altro giudice massone calabrese (in Calabria il fenomeno è esteso: https://www.calabriainchieste.it/2023/01/30/i-magistrati-fra…e-degli-avvocati/) è stato condannato, sia dal Consiglio superiore della magistratura e sia, alcuni giorni fa, dalla suprema Corte di Cassazione.
Al togato è dunque costata cara la lunga militanza a una loggia calabrese. Ha infatti perso due anni di anzianità di servizio e, all’esito del rigetto del suo ricorso in sede di Cassazione, gli è stata pure rifilata una condanna alla refusione in favore dei controricorrenti (Csm e Ministero della Giustizia) in solido delle spese processuali liquidate in complessivi euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ma andiamo con ordine.
Ad infliggere la “condanna”, diversi anni or sono, è stata la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, visto che il nome del togato compariva nell’elenco della Procura di Palmi, impegnata in una indagine sulle logge massoniche. Il magistrato, dopo una lunga militanza nella massoneria, era fuoriuscito, ma per i suoi colleghi, il magistrato ha violato l’obbligo di diligenza e avvedutezza che incombe al magistrato di accertare se la scelta operata appaia compatibile con il proprio status: “incompatibile” – secondo il Csm, è il giuramento prestato alla massoneria con “quello che si richiama al dovere di fedeltà alla Repubblica”.
Gli elementi che caratterizzano l’appartenenza alle logge (segretezza, intensi vincoli interni, tenaci influenze tra gli affiliati) offrono all’esterno – secondo il Csm – una immagine talmente negativa da menomare gravemente la considerazione della quale il magistrato deve godere, dando l’idea di un uso strumentale della potestà giurisdizionale e di una inadeguata considerazione del principio di terzietà.
In merito si esprime, oggi, anche la Cassazione.
Il giudice si è infatti espresso contro la sentenza n. 4535/2021 del Consiglio di Stato, depositata il 11/06/2021, con specifico riguardo alle censure sull’affiliazione alla massoneria.
Il magistrato, in pensione dal 10 agosto 2012, impugnò la delibera del 24 maggio 2018 con la quale il Consiglio Superiore della Magistratura lo aveva dichiarato non idoneo a essere ulteriormente valutato, ai fini della nomina delle funzioni direttive superiori a decorrere dal 5 aprile 1991, ai sensi dell’art.16 della legge 20 dicembre 1973 n.831, con conseguente mancato riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, della settima valutazione di professionalità, secondo il nuovo sistema di progressione in carriera di cui al d.lgs. 5 aprile 2006 n.160.
Tale delibera era fondata sulle condanne disciplinari riportate dal togato, comportanti la perdita complessiva di tre anni di anzianità, per fatti di rilievo penale e per l’affiliazione alla massoneria.
Il Tribunale Amministrativo Regionale rigettò il ricorso con decisione che, appellata dal giudice, è stata confermata, con rigetto dell’impugnazione, dalla Sezione Quinta del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, con sentenza n. 4535, depositata in data 11 giugno 2021.
In particolare, il Consiglio di Stato, con specifico riguardo alle censure sull’affiliazione alla massoneria e sulla rilevanza di tale condotta per la valutazione di idoneità alle funzioni direttive superiori, rilevava che il provvedimento consiliare precedente (che aveva escluso che tale condotta potesse avere rilievo per l’attribuzione della qualifica di magistrato di cassazione sulla base dei principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza del 2 agosto 2001, ric. 37119/97), emesso relativamente all’irrogazione di sanzioni disciplinari, non poteva trovare applicazione nel caso in esame, relativo, invece, alla valutazione della personalità professionale del magistrato, ai fini dell’attribuzione della massima qualifica dell’ordinamento giudiziario precedente la riforma di cui al d.lgs. n. 160 del 2006.
Con riguardo al tema generale della rilevanza, sul piano della valutazione di professionalità del magistrato, dei precedenti disciplinari rispetto al quale l’appellante lamentava un bis in idem sanzionatorio, il Consiglio di Stato, rilevava, in fatto, che la dichiarazione di dissociazione risaliva al 1993, anno ricompreso nel periodo in valutazione per l’attribuzione della qualifica (dal 1991 al 1999).
In diritto, il Giudice amministrativo di appello ribadiva il principio generale per cui le vicende inerenti alle sanzioni disciplinari sono in sé non direttamente rilevanti, e quale che ne sia l’esito, sulla valutazione di professionalità del magistrato, dove vengono in considerazione non gli atti sanzionatori ma i fatti e le situazioni: e non come (eventuali) illeciti bensì, come elementi, comunque, denotativi della personalità e qualità professionale dell’interessato.
Avverso la sentenza l’ex massone ha proposto ricorso, beccandosi però un rigetto per inammissibilità e refusione delle spese processuali.
Tra l’altro la Cassazione ha scritto: “In tale contesto, il Consiglio di Stato ha argomentato che l’appartenenza a una loggia massonica – in quanto potenziale occasione di sollecitazioni o di indebiti vantaggi – costituisce un fattore di compromissione o comunque di appannamento dei requisiti stessi, per i conseguenti rischi, quand’anche presunti, di condizionamenti derivanti dal vincolo dell’associazione, ponendo, poi, in rilievo che se una limitazione alla generale libertà di associazione che è e resta propria del cittadino è predicata, già a livello costituzionale per i partiti politici (art. 98, terzo comma Cost.) …a fortiori ciò vale – in ragione dei cennati vincoli e per i vantaggi che può comportare – per la massoneria e, evidentemente, per le associazioni consimili. Il Giudice amministrativo di appello ha, quindi, ribadito l’autonomia di ciascuna valutazione di professionalità e la rilevanza ai fini della valutazione di professionalità dei precedenti disciplinari, anche se risalenti, non quali illeciti, ma come elementi indicativi della personalità e della qualità professionale dell’interessato evidenziando, peraltro, come l’appartenenza del magistrato alla massoneria interessasse proprio alcuni degli anni oggetto di valutazione”.
Guido Scarpino
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