Il capogruppo di minoranza, Emilia Di Tanna

AMANTEA (Cs) – «Scopando…per terra…si raggiunge l’estasi contemplativa». Riflettori ancora puntati sull’espressione pubblicata dal sindaco di Amantea, Vincenzo Pellegrino, sui social https://www.calabriainchieste.it/2023/08/19/il-sindaco-scopa…ppia-la-polemica Alle varie prese di posizione registrate sui social, oggi si aggiunge l’approfondimento della consigliera comunale di minoranza e capogruppo, Emilia Di Tanna. 

«In merito a quanto scritto dal Sindaco del Comune di Amantea e letto sulla pagina social dell’Assessora, Maria Mendicino, e anche scritto da diverse “cittadine” normalmente a lui vicine – si legge nella nota stampa della consigliera Di Tanna –  crediamo sia necessario un importante momento di riflessione critica sull’uso del linguaggio da parte di tutti, ma soprattutto di chi ricopre cariche pubbliche».

intanto va detto che «non siamo qui a ricordare quanto avvenuto ad alcuni giornalisti, di SKY e RAI SPORT, che, dopo alcune gratuite espressioni sessiste, sono stati rimossi dai loro posti di lavoro, ma sono qui a ricordare a tutti noi che non è più accettabile che il dott. Pellegrino, con una superficialità estrema, usi la lingua italiana, ed i segni di interpunzione, con doppi sensi inaccettabili, come commento ad un post assolutamente legittimo della dott.ssa Mendicino, anch’essa esponente dell’attuale maggioranza di governo della nostra città».

Per riportare «ad un livello più alto e affatto pretestuoso, bensì necessario, facciamo riferimento a diversi saggi critici, studi ed approfondimenti di filosofia del linguaggio ed articoli che richiamano fortemente una attenzione sempre più marcata e necessaria, dal punto di vista anche giuridico, all’uso del linguaggio, soprattutto di personaggi pubblici, in situazioni di tipo sia pubblico che privato, sia orale che scritto e soprattutto sulle pagine social».

E, ancora: «Un articolo in particolare ci ha profondamente colpito, “Discriminazioni di genere negli usi linguistici: quale vigilanza critica per le avvocate?”, di Arianna Enrichens e Cesarina Manassero. Traiamo dall’articolo passi significativamente importanti al fine di tentare di risvegliare l’attenzione sulla deriva maschilista e sessista che ormai attanaglia conversazioni di cittadini pubblici e privati, ma soprattutto che dilaga sulle pagine social, di profili reali o fake, di persone che svolgono un ruolo importante all’interno dei più disparati organismi pubblici, culturali, giornalistici e via dicendo».

“Questo articolo si propone di «analizzare sinteticamente alcuni dei più comuni meccanismi di discriminazione, attuati nei confronti delle donne, attraverso un uso marcatamente sessista del linguaggio. Le nostre riflessioni si fondano sul presupposto della non neutralità del linguaggio e sulla convinzione della profonda influenza che l’espressione verbale esercita sulla percezione e sulla costruzione della realtà in cui viviamo».

Ed invero, se, «innegabilmente, il linguaggio è lo specchio della nostra società, delle regole che la governano, dei rapporti e delle caratteristiche più profonde che la costituiscono, d’altra parte, si può sostenere che le modalità di espressione contribuiscono a caratterizzare e a forgiare le idee e i modelli di riferimento della società stessa».

Nonostante ciò, «pare potersi affermare che l’azione discriminatoria del linguaggio è generalmente sottovalutata e comunemente accettata. Infatti, spesso si accetta l’uso di espressioni sessiste, solo perché esse sono ormai considerate “comuni” o, addirittura, erroneamente reputate frutto di vere e proprie regole grammaticali o, in ogni caso, perché percepite dalla consuetudine come prive di connotazione offensiva».

Non solo nel parlare della vita di tutti i giorni, «ma anche nei libri di testo, nei dizionari, sui giornali, nelle dichiarazioni rilasciate da esponenti politici di spicco, si registrano frequentemente un uso improprio e sessista della lingua, una grande disattenzione circa le conseguenze dell’uso di un linguaggio discriminatorio, nonché atteggiamenti accompagnati da un certo qual fastidio ad adottare una terminologia rispettosa del principio di parità tra uomo e donna e rispondente alla differenza di genere».

Spesso, infatti, «nelle parole che vengono maggiormente usate e in molte espressioni di uso corrente si celano stereotipi e significati discriminatori. Essi, tuttavia, nella maggior parte dei casi, non sono nemmeno percepiti come tali, cosicché si consolidano, si tramandano, si accettano e divengono parte integrante della nostra mentalità…»

Quando «una donna esce dalla dimensione privata, che le definizioni dei dizionari vorrebbero imporre o, comunque suggerire, e propone un diverso modello femminile, essa è generalmente fatta oggetto di attacchi e critiche, fondate sugli stereotipi sociali più arcaici, dei quali le espressioni sessiste sono conferma e indicatore».

Molti solo i meccanismi di «discredito messi in atto più o meno consapevolmente e, a volte, senza capirne la gravità, sono proprio altre donne ad innescarli, donne dipendenti sia culturalmente che socialmente da figure maschili che credono, così, di compiacere, senza accorgersi di essere loro stesse vittime di una visione maschilista che le rende subalterne e succubi…»

Assai spesso, poi, «una donna pubblica viene chiamata “signora” anche se ha acquisito titoli di studio o professionali prestigiosi. Inoltre, le donne al potere – così come, del resto, tutte le altre – diversamente dagli uomini, sono sempre designate con aggettivi o espressioni che ne mettono in risalto l’aspetto fisico, l’abbigliamento, la sessualità».

In ogni caso «il vero riscatto di una donna indipendente e conscia della propria dignità di genere deve necessariamente passare per il cosiddetto “scarto linguistico”, cioè l’intelligenza e la libertà di pensiero, in ogni paradigma sociale in cui una donna è inserita, si deve assolutamente smarcare dalle formule bieche e dalle bassezze linguistiche adottate come modelli reiterati di aggressione, attraverso l’adozione di un linguaggio chiaro, netto, sintetico, efficace, corretto  e comprensibile in modo tale da fare la differenza».

E’ proprio il linguaggio «come forma di libertà che supporta il processo di emancipazione femminile e quello – che con esso va di pari passo – di sviluppo e crescita della nostra società, a livello individuale e collettivo. Essi presuppongono un cambiamento che ben potrebbe – e dovrebbe – partire dal linguaggio quotidiano».

Così come «la potenza evocativa di un’espressione scorretta e denigratoria incide negativamente sulla realtà, parimenti l’uso di espressioni giuste e paritarie possono rappresentare un’importante influenza culturale, al fine di affermare un’immagine della donna libera, reale, in sintonia con la realtà nella quale viviamo e in cammino verso la realizzazione del cambiamento al quale aspiriamo»

E’ necessario assolutamente, quindi, «ricordare che il linguaggio è uno strumento di potere, soprattutto  nel configurare possibili condizionamenti dell’altrui pensiero, ma anche nella eventualità  emulativa  messa in atto, attraverso comportamenti  concreti, da parte di chi non possiede gli strumenti  culturali della decodifica chiara del “messaggio” sessista ed agisce in maniera istintiva cercando di colpire la figura femminile».

Per questo «ci pare consigliabile ricordare quello che diceva Calvino, quando parlava della necessità di essere un po’ strabici, sia quando si parla in pubblico, sia quando si scrive, al fine di guardare ciò che si dice, ciò che si scrive o ciò che si mostra con la mente dei nostri destinatari»

Evidentemente «“una donna in ruoli di riferimento, in politica o in qualsiasi altro settore della vita pubblica, continua a suscitare sconcerto“. Lo dichiara la presidente della Commissione Regionale Pari Opportunità della Toscana, Francesca Basanieri secondo la quale “questo succede perché, in Italia, ancora oggi, è presente e viva una cultura sessista pronta a esprimere la violenza contro le donne anche sul piano verbale. Inoltre sono poche le donne in ruoli di primo piano ed è ancora forte nella nostra società il pregiudizio per cui il ruolo ottenuto è dovuto solo ‘al caso’ e non alla capacità, alla preparazione e alla professionalità della persona che lo ricopre”»

 E come sempre «è il corpo delle donne a farne le spese: quando si vuole insultare una donna non si discutono le sue idee, il suo atteggiamento, le sue capacità, ma si attacca il suo aspetto fisico come unico elemento qualificante o si usano verbi che rimandano all’uso sessuale del corpo delle donne in maniera volgare ( come, ad esempio, il verbo “scopare” usato attraverso il gioco della doppia significazione)»

la consigliera Di Tanna conclude riportando «un passaggio significativo della  Raccomandazione CM/Rec(2019)1 del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro il sessismo, sperando che l’Assessora alle Pari Opportunità del Comune di Amantea si dimostri attenta a tali problematiche, tanto da configurare la creazione, anche presso il nostro Comune, della COMMISSIONE SULLA PARITA’ DI GENERE: La necessità di affrontare il sessismo, le norme e i comportamenti sessisti, nonché il discorso sessista è implicita in numerosi strumenti internazionali e regionali. Sia la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (CETS n° 210, Convenzione di Istanbul) che la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne delle Nazioni Unite (CEDAW) riconoscono che esiste un continuum tra gli stereotipi di genere, le disparità di genere, il sessismo e la violenza contro le donne e ragazze”».

Pertanto, «gli atti di sessismo “ordinario” sotto forma di comportamenti, commenti e battute sessiste apparentemente insignificanti e privi di conseguenze si collocano ad una delle estremità di tale continuum. Tali atti sono spesso umilianti e contribuiscono a creare un clima sociale in cui le donne sono svilite, la loro autostima è ridotta e le loro attività e scelte vengono condizionate nel contesto lavorativo, nella sfera privata, in quella pubblica e in rete”».

In conclusione: «E’ ora di dire basta. È ora che la sensibilità delle donne non venga più vilipesa né per gioco né per altro anche nel nostro Consiglio Comunale»

stefaniasapienza@calabriainchieste.it