CATANZARO – La Procura ha presentato appello rispetto alla sentenza emessa nei confronti del pastore Pietro Rossomanno, di 46 anni, residente a Satriano – 3 anni rispetto ai 15 chiesti dalla Procura – per l’aggressione e uccisione da parte dei cani che custodivano i suo gregge della giovane Simona Cavallaro, 20 anni https://www.calabriainchieste.it/2023/06/28/ragazza-uccisa-dai-cani-il-pastore-condannato-a-3-anni-e-la-madre-a-8-mesi-di-reclusione/.
Per la Procura non si è trattato di semplice disinteresse, di trascuratezza o noncuranza, ma c’è stato il dolo nel lasciare il gregge in mano a pastori maremanni, che hanno ucciso Simona Cavallaro, in località Monte Fiorino, nel Comune di Satriano, nel Catanzarese il 26 agosto 2021. Per la Procura, il pastore Rossomanno, era consapevole delle conseguenze nefaste derivanti dal non aver vigilato sui suoi cani e chiede ai giudici di appello una pena più pesante rispetto ai 3 anni sentenziati dal gup il 27 giugno scorso (il pm aveva chiesto 15 anni di reclusione), quando il giudice ha riqualificato il reato da omicidio volontario a delitto colposo, accogliendo le argomentazioni difensive degli avvocati Salvatore Staiano e Vincenzo Cicino
Una pena troppo bassa nei confronti di un imputato, accusato anche di introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui, pascolo abusivo, invasione di terreni ed edifici, che, per la Procura quell’omicidio l’ha voluto, “un evento che si è verificato in un contesto profondamente illecito. Rossomanno lasciava pascolare arbitrariamente il gregge in un’area attrezzata per pic nic, senza avere alcuna autorizzazione, nell’ambito di un’attività di pastorizia esercitata all’insegna dell’illegalità”.
Il pm ha definito illogica, contraddittoria la decisione del giudice di prime cure, trascurando elementi che se adeguatamente valutati, avrebbero portato a conclusioni diverse. Innanzitutto era a conoscenza dell’aggressività dei cani che solo il pastore sapeva tenere a bada e quell’aggressività che ha tolto per sempre il respiro a Simona, quei maremmani l’avevano manifestata altre volte.
Una donna, chiamata a sommarie informazioni, ha raccontato che a maggio 2021, tre mesi prima della morte della ragazza, si era recata in contrada Ferrara nel Comune di Satriano, per fare un’escursione e ha incontrato un gregge di pecore accompagnate da un branco di cani tra maremmani e meticci e per permettere loro il passaggio, era salita su di un masso.
Quando tutto il gregge era ormai andato avanti, a chiudere le fila vi era un cane maremmano che aveva iniziato ad abbaiare contro di lei e a mostrarsi aggressivo, un richiamo per gli altri cani che erano tornati indietro e l’avevano accerchiata, abbaiando. Soltanto dopo qualche minuto è arrivato il pastore che aveva richiamato i cani e loro lo avevano seguito immediatamente.
La donna si è soffermata a descrivere l’atteggiamento aggressivo degli animali, che non erano riusciti a raggiungerla proprio perchè lei si trovava sopra un masso. E un uomo che conosce il pastore e il suo gregge era stato aggredito dai cani ed era riuscito a mettersi in salvo soltanto grazie al passaggio di un’auto in cui si era rifugiato.
Poi ad essere presi di mira dal branco, dei ciclisti. “Non si tiene nella giusta considerazione l’atteggiamento di Rossomanno, si legge nel ricorso della Procura, ossia la circostanza che lo stesso pur avendo torto, invece di scusarsi per quanto accaduto rivendica il suo presunto diritto di esclusivo godimento di terreni non di sua proprietà. Basti pensare a quando si è rivolto ai ciclisti con tono arrogante, dicendo loro che ogni volta che avessero visto il suo gregge avrebbero dovuto mettersi da parte”. Una personalità, quella del pastore, definita tracotante dal pubblico ministero, tipica di chi agisce in nome del “costi quel che costi, avendo saggiato più di una volta l’aggressività dei suoi cani e avendo mostrato un atteggiamento di prevaricazione”.