ROMA – «Con i criptofonini, i clan della Locride gestivano il narcotraffico internazionale da San Luca, paese di tremila anime arroccato sull’Aspromonte jonico. Tramite il “denaro volante”, sistema informale di trasferimento di valore gestito da cinesi, con contatti a Dubai, pagavano la droga ai cartelli sudamericani.
Con il beneplacito dei paramilitari, tonnellate di cocaina partivano da Colombia, Brasile e Ecuador per poi raggiungere il vecchio continente grazie agli operatori portuali corrotti dei principali scali europei».
L’ultimo numero de lavialibera, rivista di Libera e Gruppo Abele, offre la mappa aggiornata degli affari della ‘ndrangheta, così per come l’hanno tracciata le ultime indagini europee, in particolare l’operazione Eureka.
«Ne emerge l’immagine di un’organizzazione criminale che – scrive la criminologa Anna Sergi – in casa si dimostra legata alle tradizioni e all’estero all’innovazione imprenditoriale. Germania, Belgio e Portogallo sono alcuni degli Stati europei in cui gli uomini delle cosche hanno messo radici e insediato i loro affari».
La peculiarità di questi gruppi nei traffici nel vecchio continente sta proprio nella capacità di sfruttare le opportunità globali di un mercato ricco come quello della cocaina, senza perdere a livello locale i tratti identitari del proprio territorio.
L’intercettazione di un imprenditore – rivelata nell’inchiesta di copertina de Lavialibera – vicino ai clan racconta questa dualità, tra potere locale e reputazione globale: «Io lo sto facendo [investire] qui in Calabria perché c’è molto denaro della droga, perché i calabresi sono più famosi di Pablo Escobar in tutto il mondo per il traffico di cocaina. Queste persone che vivono qui, tu pensi che non hanno soldi, ma hanno più soldi delle banche».
«La ‘ndrangheta – scrive nell’editoriale Luigi Ciotti – si è diffusa a macchia d’olio dalla Calabria in tutto il mondo, diversificando gli investimenti e riuscendo a infiltrarsi nell’economia legale. C’è però una Calabria capace di solidarietà e inclusione che va diffusa. Esportare nel mondo l’immagine di una Calabria del malaffare anziché della solidarietà e dell’inclusione – la Calabria coraggiosa! – è qualcosa a cui dobbiamo opporci con tutte le nostre forze».
All’interno nel numero anche un approfondimento sulla sanità pubblica.
I dati illustrati da Lavialibera – raccontano di una sanità pubblica in caduta libera: ospedali e pronto soccorso chiudono, gli investimenti scarseggiano, medici e infermieri sono pochi e in tanti scelgono di partire per l’estero, alla ricerca di condizioni di lavoro e stipendi migliori In Italia, dal 2010 al 2020, sono stati chiusi 111 ospedali, 11 pronto soccorso e tagliati quasi 40mila posti letto.
Fino allo scoppio della pandemia, lo Stato ha centellinato i finanziamenti pubblici (in Europa 15 paesi investono di più), annichilendo un sistema già in sofferenza, caratterizzato da sprechi e mancanza di visione.
Come se non bastasse, gli edifici esistenti sono vecchi, spesso non a norma e quindi pericolosi per dipendenti e pazienti.Alle carenze strutturali si aggiungono quelle di personale: mancano all’appello 30mila medici e 250mila infermieri, numeri destinati a crescere vista l’età media dei professionisti che, secondo l’Istat, per i medici è di 52,5 anni (uno su due ha più di 55 anni), mentre per gli infermieri è pari a 48,2 anni (uno su quattro ha più di 55 anni). Per colmare il gap con gli altri paesi europei, lo Stato dovrebbe investire 30,5 miliardi di euro. Un’enormità.
Nonostante le difficoltà, la sanità pubblica resta un caposaldo nell’ordinamento giuridico italiano, sancito dall’articolo 32 della Costituzione. Un principio sacrosanto che sta vacillando, come dimostra il numero sempre maggiore di persone che si rivolge al sistema privato.
In media ogni famiglia spende nella sanità privata 1.700 euro all’anno, mentre visite specialistiche e prestazioni diagnostiche costano circa 2 miliardi di euro.
Il privato “cattura” i cittadini e attrae i medici: nel 2021 sono 2.886 i camici bianchi che hanno lasciato il posto pubblico per proseguire altrove la propria carriera, il 39 per cento in più rispetto al 2020. La crisi del sistema sanitario pubblico ha il volto dei medici di base.
Dal 2016 al 2021, tra pensionamenti e rinunce, ne risultano 3.667 in meno e le proiezioni a breve termine sono preoccupanti: nel 2025 il numero diminuirà di 3.452 unità rispetto al 2021, con le regioni più coinvolte che sono tutte localizzate nel Centro-Sud (Lazio, Sicilia, Campania e Puglia).