L'ospedale dell'Annunziata di Cosenza

COSENZA – Il sistema sanitario pubblico fa acqua da tutte le parti, e chi ne sta pagando le spese sono  come sempre – i cittadini.

Le segreterie Cgil – Spi, Cgil, Fp – Cgil di Cosenza chiedono risposte concrete.

«Sono sempre più numerose le persone, in particolar modo anziani e fragili, che vengono nelle nostre sedi a sottoporci un problema, fra i tanti, che riguarda la sanità pubblica nel nostro comprensorio», scrivono i sindacati.

La questione delle liste d’attesa, di questo si tratta «è ormai esplosa anche a livello nazionale, tant’è che persino il Governo, nell’ambito dei 3 miliardi stanziati nella Legge di bilancio per la sanità, ha destinato 520 milioni proprio all’abbattimento delle liste d’attesa: peccato però che manchino, innanzitutto, medici ed operatori sanitari che dovrebbero garantire le prestazioni».

E comunque la Calabria resta il fanalino di coda «anche relativamente a somme già assegnate negli anni scorsi sempre in materia di abbattimento delle liste di attesa: fino al 2022 ha, infatti, utilizzato solo il 27% di tali risorse, recuperando appena il 9% delle prestazioni, in un quadro di generale miglioramento della tempistica in quasi tutte le altre Regioni d’Italia».

All’interno dell’ASP cosentina «i tempi di attesa possono variare da diversi mesi ad anche più di un anno per quanto riguarda la possibilità di accedere a visite specialistiche o esami diagnostici. Alcuni utenti, infatti, ci hanno riferito che richieste di prenotazioni, effettuate nello scorso mese di settembre, hanno avuto il seguente esito: per una tac addominale 10 mesi, per una cardiotac 8 mesi, per una vista neurologica di controllo 17 mesi come pure per un elettroencefalogramma».

Analogamente, «ci è stato segnalato da una persona che, avendo ricevuto dall’ASP un apposito invito a partecipare ad uno screening per la prevenzione e la diagnosi precoce di una specifica forma tumorale, ha tentato per oltre un mese di contattare i numeri telefonici indicati per prenotare gli esami previsti, ma che tali numeri risultavano sempre occupati oppure non rispondeva alcun operatore. Quando ha provato a mettersi in contatto con un responsabile della struttura competente, si è trovata di fronte ad un numero inesistente».

Ma tornando ai tempi di attesa «e, come abbiamo visto, finanche di oltre un anno, si sta verificando un’ulteriore anomalia, ovvero l’appuntamento finalmente e tanto faticosamente ottenuto – vogliamo parlare delle lunghe ore di attesa necessarie per accedere agli sportelli del CUP, a causa anche del sottodimensionamento degli addetti rispetto al numero degli utenti? – viene rilasciato per strutture sanitarie al di fuori della propria residenza».

Un esempio? «Un utente di Cosenza, ultraottantenne, viene indirizzato, a distanza di 5 mesi, all’Ospedale di Corigliano Rossano per una vista otorino per la rimozione del cerume. Una cosa banale, dunque, ma richiederebbe ad un anziano di spostarsi dalla sua residenza con mezzi propri, considerato lo stato dei trasporti pubblici locali nella nostra Provincia».

E se questa persona, «oltre forse a non poter più guidare in considerazione dell’età avanzata, non ha altri familiari che possano accompagnarlo, cosa accadrà? E’ del tutto ovvia la risposta: ove ne abbia la possibilità economica finirà per rivolgersi ad uno specialista privato che nel giro di pochi giorni risolverà il suo problema, col costo naturalmente a carico dell’utente. O forse ad un dirigente medico del presidio ospedaliero, tramite il sistema delle cosiddette “visite extra moenia”, ovvero la possibilità consentita ai medici dipendenti pubblici di mitigare l’esclusività del rapporto di lavoro con il servizio sanitario pubblico, così da esercitare l’attività libero professionale al di fuori dell’ente di appartenenza e dell’orario di lavoro contrattualizzato, cosicché chi può permetterselo può usufruire in tempi assai più veloci della prestazione e, magari, da parte dello stesso medico che lo ha curato o potrebbe curarlo in ambito pubblico».

E, infine, «alle strutture private convenzionate, dove spesso l’accesso ad una prestazione può avvenire addirittura in giornata, quindi perfino senza necessità di prenotazione, o comunque in tempi brevissimi, in particolare se ci si riferisce a prestazioni non ricomprese nelle convenzioni».

Recentemente, «col beneplacito del Governo e del Commissario ad acta della sanità calabrese, ovvero il Presidente della Giunta regionale, è stato assicurato alle strutture private cosentine un extra budget, ovvero diversi milioni in più rispetto all’anno precedente e, quindi, la possibilità di effettuare ulteriori prestazioni a discapito del servizio sanitario pubblico che, è di tutta evidenza, non riesce ad assicurarle».

In questi giorni «si sono verificati dei casi di infedeltà da parte di taluni dipendenti dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza che, ovviamente, hanno suscitato la nostra totale riprovazione, soprattutto se messi a confronto con la professionalità ed il grande spirito di sacrificio che caratterizzano il lavoro quotidiano della maggior parte degli operatori sanitari, in un contesto peraltro di estrema disorganizzazione aziendale».

Il Presidente della Giunta regionale «si è detto “disgustato” da tali episodi, mentre lui si sta “facendo a pezzi per risollevare questo sistema sanitario”: vorremmo, allora, chiedergli perché in questi due anni la sanità calabrese sia ormai al limite del collasso, certificato da autorevoli fonti quali la Corte dei Conti o l’AGENAS, cioè l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, mentre i cittadini calabresi, in particolare i lavoratori dipendenti ed i pensionati, pagano una salatissima addizionale Irpef senza ricevere servizi adeguati, in particolare quelli sanitari, che siano in linea col dettato costituzionale?».

Ma, «aggiungiamo che, al di là delle risposte che non sono mai arrivate – e che anche stavolta dubitiamo possano arrivare – ci piacerebbe vedere che si ponga in atto, finalmente, una qualche iniziativa concreta che venga incontro ai bisogni ed alle necessità dei cittadini calabresi, soprattutto dei tanti che hanno dovuto rinunciare alle cure mediche e farmacologiche – secondo l’ISTAT in Italia sarebbero due milioni e mezzo – e dei quali proprio le Istituzioni pubbliche dovrebbero farsi carico».

stefaniasapienza@calabriainchieste.it