PAOLA (Cs) – E’ stato condanno a due mesi (pena sospesa) il “maresciallo-sceriffo” dei Carabinieri, Michele Ferrante: dovrà risarcire 1000,00 euro alla parte civile, somma che sarà poi devoluta in beneficienza all’associazione Lanzino contro la violenza sulle donne; 2300,00 di spese legali sostenute dalla parte offesa, difesa dall’avvocato Antonio Sanvito del foro di Cosenza.
La condanna di Ferrante, petrocinato dagli avvocati Giuseppe Bruno e Armando Sabato, riguarda il solo reato di “perquisizione e ispezione personali arbitrarie” (articolo 609 c.p.), perché Ferrante è stato smentito in udienza dai suoi superiori, mentre è stato assolto “perché il fatto non sussiste” per i reati di lesioni personali aggravate (articoli 582, 585), minacce (articolo 612).
Il pubblico ministero Luca Natalucci aveva chiesto la condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione per tutte le ipotesi reato contestate al maresciallo dei Carabinieri Michele Ferrante, sotto processo per aver arrecato danno a un politico ambientalista di Fuscaldo, Davide Di Domenico, incensurato e vittima di estorsione .
Il processo è a un passo dalla prescrizione.
La parte offesa aveva presentato una istanza tramite il suo avvocato, Antonio Sanvito, chiedeva 15mila euro di danni da devolvere interamente all’associazione antiviolenza cosentina che porta il nome di Roberta Lanzino.
E’ un processo molto delicato e importante, anche perché all’attenzione del Parlamento e del Ministero per via di tre distinte interrogazioni parlamentari, a suo tempo predisposte dal vice presidente del senato Roberto Calderoli, unitamente ad altri parlamentari leghisti, nonché dall’ex presidente della commissione antimafia Nicola Morra, assieme a parlamentari del M5S.
Sulle azioni consumate dal militare dell’Arma, poi trasferito dalla compagnia di Paola al comando di Cosenza, così si è espressa la Procura, in quel tempo diretta da Pierpaolo Bruni:
“abusando dei potere inerenti alle sue funzioni, ossia in violazione degli articoli 97 della Costituzione, degli articoli 36 e 57 del regolamento di disciplina militare e segnatamente, libero dal servizio ed in abiti civili, eseguiva una perquisizioni ed una ispezione personale a Di Domenico Davide, senza alcuna giustificazione e omettendo di redigere il verbale delle operazioni compiute al solo fine di impedire al Di Domenico di fotografare lo stesso e le persone con cui si intratteneva”, durante un pubblico comizio.
Al fine di “eseguire il reato”, “rincorrendolo per immobilizzarlo – prosegue l’accusa – e così facendolo cadere a terra, cagionava a Di Domenico trauma contusivo gomito destro con frattura del capitello radiale (95 giorni di prognosi)”.
Con l’aggravante di aver commesso il fatto con “abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti la sua qualità di pubblico ufficiale”.
Al maresciallo viene poi contestata la minaccia aggravata: “Te la farò pagare”, avrebbe detto a Di Domenico, “ti faccio vedere io, dove cazzo devi andare…”.
Ed, ancora, in “violazione del dovere di astensione e comunque in violazione dell’art. 97 della Costituzione, ossia in violazione dei doveri di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione, con sviamento delle finalità specifiche dei propri poteri”, il Ferrante “predisponeva e redigeva personalmente l’informativa di reato relativa alla denuncia a carico del Di Domenico, omettendo di astenersi in presenza di un proprio interesse ed arrecando intenzionalmente un danno ingiusto al Di Domenico”.
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