La Corte d’assise d’appello ha confermato la sentenza di assoluzione emessa in primo grado nell’ottobre del 2020 per Emilio Antonio Bartolotta, 42 anni, la moglie Annunziata Foti, 43 anni, e Francesco Calafati, 45 anni (tutti di Stefanaconi), accusati dell’omicidio di Antonino Lopreiato, alias “Ninu i murizzu”, ucciso a Stefanaconi l’8 aprile del 2008.
I tre imputati sono stati assolti per non aver commesso il fatto. Accolte, quindi, le argomentazioni difensive degli avvocati Salvatore Staiano per Bartolotta, Vincenzo Maiolo Staiano per Foti e Sergio Rotundo per Calafati. Nei loro confronti il sostituto procuratore generale aveva stato chiesto l’ergastolo.
L’omicidio di Lopreiato, secondo quanto emerso dall’operazione “Amarcord”, sarebbe maturato nell’ambito di uno scontro fra il clan Lopreiato-Patania (la vecchia “società maggiore” di Stefanaconi) e un nuovo gruppo criminale, vicino ai Bonavota di Sant’Onofrio, nato nel 2007 a Stefanaconi attorno alle figure di Emilio Bartolotta e Francesco Calafati.
Secondo l’accusa, la vittima era ritenuta da Bartolotta e Calafati fra gli autori della scomparsa per “lupara bianca” (14 dicembre 2007) del 31enne Salvatore Foti e si sarebbe inoltre attivata per ritrovare il cadavere di Michele Penna, ex segretario cittadino dell’Udc di Stefanaconi pure lui scomparso per “lupara bianca” in quanto intenzionato a formare un autonomo clan.
Inizialmente tra gli esecutori materiali erano stati indicati anche Francesco Scrugli, il killer dei Piscopisani, ucciso a Vibo Marina nel 2012 nell’ambito della faida con i Patania di Stefanaconi, e Rosario Battaglia, esponente di spicco del clan di Piscopio. Accuse quelle della collaboratrice di giustizia Loredana Patania (anche lei imputata e assolta in questo processo) che non hanno retto ai successivi approfondimenti investigativi. Scrugli il giorno dell’omicidio si trovava in carcere mentre Battaglia è stato scagionato successivamente dalle dichiarazioni fornite da un altro pentito, l’ex azionista dei Piscopisani Raffaele Moscato.