CATANZARO – Uno spazio di ascolto e trattamento psico-educativo rivolto a uomini maltrattanti. Un servizio di cui non si parla molto, in cui gli uomini, consapevoli di mettere in atto comportamenti di prevaricazione ed abuso nelle relazioni d’intimità, hanno l’opportunità, attraverso strategie mirate e specifiche, di modificare i loro stili comportamentali violenti.
Nel 2016, ci ha pensato il Centro Calabrese di solidarietà Ets a creare uno “spazio” dove sviluppare un servizio che da un primo impatto può sembrare scomodo, ma che in realtà vuole dare la possibilità agli autori di violenza di seguire un programma di trattamento, non come alternativa alla sentenza di condanna, ma come misura aggiuntiva volta a prevenire futura violenza.
Un argomento complesso e delicato al centro del convegno dal titolo “Uomini autori di violenza, il comportamento cambia?”, che si è svolto nei giorni scorsi nella sala conferenze del Centro Polivalente “Maurizio Rossi” in via Fontana Vecchia arricchito dagli interventi di Giusy Pino, Assessore alle Politiche sociali – Comune di Catanzaro; Vincenzo Agosto; Presidente Ordine degli Avvocati; Francesco Iacopino, Presidente Camera Penale “A. Cantafora”; Laura Antonini, Presidente Tribunale di Sorveglianza; Carmela Tedesco, Consigliere Corte d’Appello Catanzaro.
Ad aprire i lavori la presidente del Centro Calabrese di solidarietà, Isolina Mantelli che questo servizio ha fortemente voluto, anche vincendo qualche resistenza.
«Si può “guarire” dalla violenza – si chiede la presidente Mantelli – Quella dell’istituzione del servizio per uomini maltrattanti è stata davvero una sfida, perché abbiamo anche dovuto affrontare il rifiuto iniziale degli operatori e la repulsione generalizzata nella società verso coloro che commettono atti di violenza domestica. La difficoltà di istituire tale servizio è accentuata dalla mancanza di supporto regionale e dalla necessità di formazione esterna. Non potevamo non affrontare questa sfida visto che siamo votati a lavorare con varie forme di fragilità, inclusa la tossicodipendenza, nonostante la difficoltà derivante dalla repulsione sociale associata a tali situazioni. Sono certa che supereremo tutte le difficoltà: aiutare gli uomini maltrattanti richiede una profonda introspezione per comprendere la vera radice della violenza».
L’assessore al Welfare del Comune di Catanzaro, Giusy Pino, ha posto l’accento prima di tutto sull’importanza della collaborazione e dell’approccio integrato nella lotta contro la violenza di genere.
«Il Centro calabrese di solidarietà svolge un ruolo fondamentale in questo contesto, parliamo di un fenomeno complesso sia dal punto di vista sociale che strutturale – ha detto ancora Pino – è necessario affrontare le radici culturali della violenza. La legislazione che, in passato, giustificava alcuni comportamenti violenti degli uomini nei confronti delle donne: l’evoluzione culturale e legislativa che ha portato a interventi più mirati, non solo dopo la comunicazione della violenza, ma anche intervenendo preventivamente. Si deve intervenire nella matrice della violenza e il Centro calabrese di solidarietà ha gli strumenti essenziali per bloccare il ciclo di abuso. Solo il 10% degli uomini che frequentano questi centri lo fa spontaneamente, mentre il resto viene indirizzato da professionisti o autorità. E’ fondamentale sostenere questi Centro per portare avanti politiche integrate e nel contribuire a un cambiamento culturale nella società».
Dopo i saluti del presidente dell’Ordine degli avvocati, Vincenzo Agosto è toccato alla responsabile del Centro Uomini Autori di Violenza entrare nel vivo della “mission”. Cristina Marino, pedagogista e responsabile del CUAV (Centro Uomini Autori di Violenza) ha spiegato nel dettaglio gli aspetti del servizio gestito dal Centro Calabrese di Solidarietà di Catanzaro. Il CUAV, in precedenza sotto altri acronimi ma con lo stesso intento, si occupa da sempre di creare relazioni sane e sostenere la genitorialità lavorando con i maltrattanti, persone che scelgono consapevolmente di modificare le proprie modalità comportamentali, fornendo loro l’opportunità di andare incontro alle relazioni interpersonali in ambito familiare in modo sano.
Il percorso presso il CUAV si sostanzia in più step: si comincia con la valutazione di idoneità alla partecipazione al gruppo e con l’analisi di come si presenta l’uomo. Si prosegue, se ce ne sono i presupposti, con il contatto al partner, ed un’azione mirata ad informare la donna lesa da violenza dei sostegni a suo favore. Infine gli uomini vengono inseriti in un percorso psicoeducativo, della durata di almeno un anno.
All’interno di questo percorso, è presente anche un supporto di tipo legale, offerto dall’avvocato Pietro Marino, presente al dibattito con una personale testimonianza circa un caso vinto, da un caso di violenza familiare ad un percorso virtuoso. Marino parla di una “bugia bianca” con cui ha “spinto” un proprio cliente – un “maltrattante” – lungo questo percorso. Si parte da un successo professionale dell’avvocato che al termine del dibattimento imperniato su un’accusa di maltrattamenti familiari ottiene l’assoluzione dell’assistito. In coscienza sa che sentenza e verità non collimano esattamente. E si chiede cosa sarebbe successo da lì in avanti in quel rapporto di coppia, in quella famiglia. Combattuto, si rivolge dapprima all’assistente spirituale e quindi al Centro calabrese di solidarietà: un lento ma costante progredire verso la presa in carico della violenza di genere ha portato ad un lieto fine nel rapporto familiare, anche se non è sempre così.
Sul tavolo, quindi, spunti e riflessioni che hanno animato confronto a più voci, arricchito da autorevoli interventi, a partire da quello del presidente della Camera Penale, a Francesco Iacopino. «La sensazione è che il legislatore stia “lavorando a metà” – ha detto -. Non basta, a mio avviso, il solo atteggiamento repressivo, ma urge anche intervenire sul piano culturale e sociale. Non è, insomma, la sola penalità ciò di cui abbiamo bisogno», ha esordito sottolineando l’approccio “amputato” della legge.
Iacopino infatti critica il sovradosaggio penale come soluzione inefficace al problema complesso della violenza domestica, evidenziando il rischio di “falsi positivi” e l’uso strumentale della legge, con il potenziale smarrimento di situazioni reali tra le denunce. «Le legge ha ampliato le misure di prevenzione e rafforzato l’arsenale repressivo, specialmente nella fase cautelare – ha detto ancora – mancano indicazioni chiare e risorse nella fase esecutiva e nella prevenzione culturale: servono investimenti economici in queste aree». Il presidente della Camera penale ha, quindi, concluso con l’auspicio che la riforma consideri il cambio di paradigma necessario per affrontare il problema della violenza domestica in modo più efficace, promuovendo non solo l’aspetto punitivo ma anche interventi culturali e preventivi.
La Consigliera della Corte d’Appello Carmela Tedesco ha espresso preoccupazione per l’escalation quotidiana di violenza, sottolineando che il problema non riguarda solo la violenza contro le donne, ma coinvolge anche bambini e anziani. Pur riconoscendo la serietà del problema, sottolinea la necessità di un approccio basato sul cambiamento e sulla rieducazione degli autori di violenza. Tedesco enfatizza «l’importanza delle parole e del cambiamento di prospettiva, il punto di partenza deve essere considerare l’uomo non come intrinsecamente violento, ma come qualcuno che usa la violenza. Come operatrice del diritto, suggerisce che il focus non dovrebbe limitarsi solo a una sentenza di condanna, ma dovrebbe includere anche percorsi di cambiamento per gli autori di violenza».
Critica «l’ipertrofia penale e suggerisce l’importanza di intervenire sulla prevenzione e sulla rieducazione». Serve, insomma, «un approccio maschile nella discussione sulla violenza contro le donne; è necessario trattare gli autori di violenza per ridurre il rischio di recidiva. Riflettendo sulla Convenzione di Istanbul, Tedesco sottolinea che il legislatore italiano si è concentrato principalmente sulla repressione, ma riconosce un cambiamento positivo nella legge 168 del 2023, che considera la prevenzione e il trattamento degli autori di reati maltrattanti. Sperando che la legge non rimanga inapplicata a causa della causa di invarianza finanziaria».
Infine, la presidente del tribunale di sorveglianza, Laura Antonini, ha evidenziato un aumento delle procedure legate a maltrattamenti in famiglia e ha discusso dell’importanza delle relazioni sociali e psicologiche nel valutare i casi, sottolineando la complessità della situazione quando si tratta di individui condannati per violenza di genere, con pene significative.
«Nonostante relazioni sociali dettagliate e approfondite, la proposta finale è spesso difficile da formulare, poiché molti di questi soggetti appaiono ancora pericolosi – ha detto ancora -. Il punto è che mancano le risorse a disposizione dello Stato, specialmente nei centri antiviolenza in Calabria, ma anche per la realizzazione di progetti: è importante agire con la formazione nelle scuole per creare individui maturi e consapevoli, famiglia e la scuola in questo processo hanno precise responsabilità».
E nell’esprimere preoccupazione per il periodo difficile che la società sta attraversando, la presidente Antonini ha concluso con sentito ringraziamento al Centro Calabrese di Solidarietà, considerandolo un segno di speranza.
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