Home Cronache Chiesti due ergastoli per omicidio di ‘ndrangheta del 1993

Chiesti due ergastoli per omicidio di ‘ndrangheta del 1993

Vittima ritenuta falsamente coinvolta in un precedente delitto. Requisitoria nel processo per l'omicidio di Filippo Piccione, avvenuto il 21 febbraio del 1993 in pieno centro a Vibo Valentia

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Un processo

VIBO VALENTIA – Ergastolo per entrambi gli imputati. Questa la richiesta avanzata alla Corte d’assise dalla pm della Dda di Catanzaro Veronica Calcagno al termine della sua requisitoria nel processo per l’omicidio di Filippo Piccione, avvenuto il 21 febbraio del 1993 in pieno centro a Vibo Valentia.

Delitto per il quale sono imputati Salvatore Lo Bianco, di 51 anni, alias “U gniccu”, difeso dagli avvocati Vincenzo Gennaro, Raffaele Manduca e Giuseppe Orecchio, e Rosario Lo Bianco (55), genero del defunto boss Carmelo Lo Bianco, difeso dall’avvocato Patrizio Cuppari.

Parti civili si sono costituiti i familiari della vittima con gli avvocati Francesco Gambardella e Danilo Iannello che hanno concluso ieri mentre l’11 luglio sarà la volta delle difese che precederanno la camera di consiglio e la sentenza.

Un intervento, quello della pm, durato circa due ore nel corso del quale sono state ricostruite le fasi investigative della vicenda sulla scorta dell’indagine condotta dai carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Vibo Valentia, nata da uno stralcio del procedimento Rinascita-Scott.

Piccione, professionista noto in città, fu ucciso nei pressi della centrale piazza Municipio il giorno di carnevale da due persone col volto travisato da una maschera.

Secondo l’accusa, l’omicidio sarebbe stato deciso dai vertici della cosca Lo Bianco, attiva nella città di Vibo Valentia, che vollero vendicare la morte del loro congiunto Leoluca Lo Bianco, ucciso, nelle campagne di Vibo Valentia, l’1 febbraio 1992.

Dalle investigazioni era emerso che i colpi di fucile che causarono la morte di quest’ultimo erano stati esplosi dall’interno di una proprietà di Piccione. Tale circostanza, secondo gli inquirenti, avrebbe ingenerato all’interno della cosca Lo Bianco, il sospetto di un coinvolgimento dell’imprenditore vibonese.

Un’ipotesi ricostruita anche attraverso l’esame delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Un’indagine che i carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo e del Ros di Catanzaro, coordinati dalla Dda del capoluogo di regione, hanno ripreso attingendo non solo ai collaboratori di giustizia ma effettuando riscontri sulle numerose informazioni testimoniali raccolte in quel periodo e negli ultimi due anni, rianalizzandole attentamente, riuscendo così a far emergere discrasie che in un primo momento non erano state notate.

Piccione, prima di essere ucciso, aveva segnalato nel corso del tempo, con tanto di denunce, agli investigatori una serie di danneggiamenti che avrebbe imputato proprio alla persona che l’anno prima della sua morte venne uccisa e la cui relativa indagine, ad un certo punto, non approdando a nulla, era stata archiviata per poi essere riaperta nel 2018.

Nell’udienza dell’ottobre 2023, il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, il quale, allora 21enne, era stato incaricato di attentare alla vita del geologo, aveva parlato di quest’ultimo come “vittima innocente di mafia” evidenziando che non era stato lui ad uccidere Lo Bianco, eliminando in tal modo ogni sua responsabilità nell’avviare la concatenazione di eventi che avrebbero poi portato alla sua morte. (Ansa)