MILANO – Anche due “emissari” del potente clan dei Bellocco si sarebbero mossi a fine luglio per minacciare il capo curva interista Andrea Beretta, che non voleva mollare i suoi guadagni nella “gestione del merchandising” e che, temendo di essere drogato, ucciso e “sotterrato”, arrivò lui ad ammazzare il rampollo della cosca.
Dalle carte dell’inchiesta della Dda di Milano sugli ultrà interisti e milanisti vengono fuori altri dettagli inquietanti sulla morsa della ‘ndrangheta su affari illeciti delle curve. Uno scenario su cui vuole vederci chiaro anche la Commissione parlamentare Antimafia, che ha deciso di acquisire gli atti dell’indagine e nei prossimi giorni valuterà eventuali audizioni.
Nel frattempo, il procuratore Marcello Viola ha incontrato i legali di Inter e Milan – entrambe le società non sono indagate – nell’ambito del procedimento di prevenzione aperto. Non ci sono tempi o scadenze previsti, ma il lavoro dovrebbe servire anche a spezzare quei legami tra ultras e figure dei club. Anche perché negli atti i pm Paolo Storari e Sara Ombra mettono nero su bianco che “esponenti di FC Internazionale” sono arrivati “persino a negare di essere stati pesantemente minacciati”.
La linea del silenzio di fronte alle domande del gip Domenico Santoro, intanto, è stata mantenuta pure oggi da cinque dei 19 arrestati nella maxi indagine di Polizia e Gdf. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere pure Marco Ferdico, leader della Nord interista, e Luca Lucci, a capo della Sud milanista, due che per suggellare quel “patto di non belligeranza”, come documentato nell’inchiesta per associazione per delinquere anche aggravata dalla finalità mafiosa, si incontravano spesso. Ferdico e Antonio Bellocco, però – come risulta da atti della Procura che riassumono dichiarazioni – volevano estromettere Beretta, terzo componente del “direttivo”, ed appropriarsi “del merchandising della Curva Nord, fonte di reddito” per lui “con il negozio ‘We Are Milano'”, usato, per i pm, anche come “copertura”.
E puntavano ad “avviarne uno ex novo” a Milano. Il 23 luglio, come raccontato da Beretta e ricostruito dagli investigatori attraverso immagini di videosorveglianza, il 49enne venne “convocato” a casa di Bellocco, a Pioltello (Milano), e nei box incontrò “due emissari” del clan, che gli avrebbero rivolto “concrete intimidazioni”. L’ormai ex capo ultrà ha messo a verbale di essere scampato a più “tentativi di portare a termine il suo omicidio”, anche “grazie alle rivelazioni ricevute dalla persona incaricata” di “tirarlo in trappola, verosimilmente con un sonnifero”. E di “condurlo in un luogo idoneo a perfezionare la sua esecuzione”.
Doveva essere “colpito con arma da fuoco e sotterrato”. Invece, la mattina del 4 settembre, davanti ad una palestra a Cernusco sul Naviglio (Milano), salì nella macchina di Bellocco con pistola e coltello, che si portava dietro da giorni per “paura”, e ammazzò il 36enne con 11 fendenti. “Vi comunico che ci troviamo costretti a dover annullare con decorrenza immediata la proposta, poiché uno dei soci è venuto a mancare”, diceva Ferdico, intercettato il giorno dopo, parlando con un broker immobiliare.
Si riferiva a quel negozio in cui con l’amico ‘ndranghetista avrebbe voluto trasferire la vendita di gadget e maglie. Attorno agli incassi girava tutto, come dimostrano anche intercettazioni del capitolo di indagine sul “progressivo avvicinamento della Curva Sud” milanista ad “esponenti della criminalità organizzata calabrese”. A fine del 2022 gli ultrà rossoneri parlavano così dei parcheggi fuori dallo stadio di San Siro: “1000 macchine?…30 mila a partita!!! oooh!!! a partita! … facciamo 80 mila al mese! punto e basta!” (ansa).